Luigi Odello, professore di analisi sensoriale in università italiane e straniere e presidente del Centro Studi Assaggiatori e dell’Istituto internazionale assaggiatori caffè, spiega nel libro Espresso Italiano Specialist lo stile e la storia dell’espresso in Emilia Romagna (qui è possibile trovare l’analisi di Odello sull’espresso in Lombardia). Leggiamo di seguito l’approfondimento sul tema pubblicato sul sito Coffee Taster.
Lo stile dell’espresso in Emilia Romagna
di Luigi Odello
MILANO – “Bella gente gli emiliani: edonisti e compagnoni, schietti, ma affabili, genuini e sanguigni, per niente acidi. Forse perché le tinte morbide del paesaggio li hanno votati al ben vivere smussandone nel tempo le asperità del carattere. E il loro espresso è un po’ così: si presenta cremoso, ma non manca mai di corpo e di carattere.
C’è voluto però circa un secolo perché la preziosa bevanda coloniale passasse dalle mani di volenterosi pionieri alla tazzina dal gusto rotondo e persistente che oggi si può godere nei bar di Modena e Bologna.
In Emilia il caffè come bevanda da consumare fuori casa è stato introdotto verso la fine del 1800. Era venduto nelle osterie e si otteneva lasciando in infusione la polvere nell’acqua bollente dentro filtri in tessuto. Solo al tramonto del XIX secolo comparve la macchina a pressione di vapore.
La tazza era allora molto più grande delle attuali e il caffè, essendo preparato all’istante su richiesta, venne così ribattezzato “espresso”. Ma questo caffè era all’epoca niente più che una nera bevanda dal gusto bruciato; l’operazione era lunga e laboriosa: ci voleva circa un minuto per ogni tazza e un “macchinista” doveva controllare continuamente la caldaia, acqua e pressione, e caricare il carbone per il riscaldamento.
Uno scenario che evoca più i fumi della rivoluzione industriale che gli attuali piacevoli sentori di nocciola e frutta secca. I macinini utilizzati all’epoca erano quelli che venivano usati anche per il pepe.
D’altra parte, negli stessi anni, anche a Bologna le torrefazioni, a partire dallo storico Caffè Roversi, non vendevano solo caffè, ma anche altri prodotti coloniali come il cacao, il pepe e altre spezie che arrivavano attraverso i porti di Genova e Napoli.
La tostatura inizialmente veniva fatta con impianti a carbone, che tuttavia erano usati anche per tostare mandorle e nocciole, che sono entrate poi a far parte del gusto dell’espresso emiliano. Il caffè proveniva essenzialmente dal Centro America e dal Brasile, del quale era particolarmente apprezzata la varietà Santos Mogiana, che legava bene con gli altri componenti della miscela come Portorico, Guatemala ed Etiopia.
Una miscela che alla finezza dell’Arabica ha poi unito il carattere robusto dei chicchi del Congo, dell’Indonesia e in seguito dell’India, allo scopo di ridurre il grado di acidità e di conferire al caffè una viscosità maggiore.
La seconda guerra mondiale segna una battuta d’arresto a causa delle difficoltà a fare arrivare il caffè dall’America e gli emiliani si dovranno per un po’ accontentare di bevande fatte con orzo e malto, ma con la fine delle ostilità e la ripresa degli scambi commerciali torna l’amato caffè.
È un momento importante questo, avviato dall’introduzione, a opera di Achille Gaggia nel 1948, del nuovo sistema di estrazione a leva o pistone manuale, un sistema che segna una svolta nella storia del caffè espresso.
Nasce così il tanto amato caffè con la crema corposa e aromatica, che modifica istantaneamente il gusto degli italiani e lo rende famoso e apprezzato in tutto il mondo.
Non si tratta quindi solo di un’innovazione tecnica, ma di una rivoluzione del costume e della ritualità, in primis in Emilia.
Il fatto che Modena fosse in posizione centrale sul crocevia delle più importanti arterie nazionali ha contribuito a fare di questa città e della regione una delle aree più evolute e floride per il commercio, votata al benessere e ben predisposta alle nuove tendenze.
Nel secondo dopoguerra i torrefattori iniziarono ad apportare delle variazioni e a farsi concorrenza offrendo ciò che la gente mostrava di apprezzare di più: un caffè dalla tostatura media, corposo e cremoso.
Gli emiliani si incantavano qualche secondo nel fissare lo zucchero in sospensione sulla superficie e, come lo zucchero, si facevano poi lentamente avvolgere dal morbido della bevanda calda e dai suoi piacevoli sentori di frutta secca che in bocca richiamavano il cioccolato e garantivano loro una certa persistenza.
Un gusto che si è affermato nel tempo e che in fondo è coerente con la cucina del territorio, genuina e sostanziosa, ma mai troppo speziata, con i suoi sapori consistenti, ma non aggressivi, con la finezza delle sue sfoglie e la dolcezza dei suoi salumi e formaggi. Il tutto sempre accompagnato da vini ora rotondi, ora frizzanti. E così è la gente in Emilia Romagna: genuina e diretta, comunicativa ed empatica, non manca mai di spessore. Gaudenti sì, ma di carattere”.