Secondo Luigi Odello, professore di analisi sensoriale in università italiane e straniere e presidente del Centro Studi Assaggiatori e dell’Iiac, Istituto internazionale assaggiatori caffè, per fare una buona tostatura, occorre abbandonare l’idea di una semplice evoluzione delle molecole di partenza, e cominciare a immaginare il chicco come un grande reattore chimico. Leggiamo di seguito un estratto del suo libro Espresso Italiano Roasting dal sito Coffee Toaster.
Più componenti per la miscela dalla medesima materia prima
di Luigi Odello
Variando le modalità di tostatura è possibile ottenere diverse componenti della miscela. Innumerevoli sono i vantaggi che ne derivano: economie di scala negli acquisti, ottimizzazione del magazzino, facilità di gestione della materia prima.
Anche qui, il motivo per cui questa via è scarsamente praticata è fortemente dipendente dalla difficoltà che ha il torrefattore di avere mezzi che gli consentono un adeguato e rapido monitoraggio sulle caratteristiche del verde e dalla non conoscenza di quanto avviene durante la cottura dei chicchi.
Se una cosa non c’è, non può originarne un’altra
In mancanza di precursori di aromi nel verde, nel tostato certi caratteri non si formeranno: si osservino nuovamente i profili nel grafico e si noterà che i fiori e la frutta fresca nel Santos non si spostano qualunque sia il livello di tostatura, quindi è una caratteristica che non potremo richiedere a questo tipo di caffè verde.
Però in altri Santos possono essere presenti, anche se non enfatizzati come nei lavati, e a tostature un po’ più chiare possono essere enfatizzati sinestesicamente dall’acidità e risultare evidenti.
Fuoco giusto al momento giusto
Non è solo importante la quantità di calore che si somministra, ma anche il momento nel quale si somministra. Il chicco di caffè è una struttura complessa ad alto livello organizzativo in cui i diversi componenti sono a volte protetti da altri che devono evolvere con il calore per rendere disponibili i primi.
Ma soprattutto, per fare una buona tostatura, occorre abbandonare l’idea di una semplice evoluzione delle molecole di partenza, bensì cominciare a immaginare il chicco come un grande reattore chimico. In pratica, con il calore si ha la trasformazione di una moltitudine di molecole in un’altra moltitudine.
Le molecole di seconda generazione possono reagire tra loro formandone di nuove, ma possono dare il medesimo risultato anche reagendo con le prime. E, ovviamente, ogni nuova generazione può reagire con molecole delle generazioni precedenti. Il torrefattore può solo governare il processo mediante il dosaggio del calore nell’unità di tempo.
Luigi Odello