MILANO – Il parallelismo tra caffè e vino è spesso un argomento portato avanti da tanti esperti del settore, nel tentativo di innalzare il valore percepito di una bevanda che ancora oggi è vista come una commodity. In realtà non tutti si trovano d’accordo, perché il rischio è quello di applicare dei metodi che funzionano bene per il vino e meno per gli specialty – per esempio Mauro Cipolla aveva fatto chiarezza sul tema della fermentazione, qui – perché non se ne ha un controllo adeguato e i risultati sono discutibili.
Sul tema si è espresso Luigi Odello sul sito coffeetasters.org, proponendosi in opposizione all’accostamento delle due bevande. Condividiamo con voi il suo intervento.
Caffè e vino: una chimera da non inseguire
Il caffè è come il vino solo nel sogno di chi ci vorrebbe la stessa poesia. Questa è la sola cosa che ci accomuna con costoro, perché per il resto, non di rado, le loro considerazioni ci fanno un po’ inorridire e in qualche modo dimostrano che, se non studiano e continuano a vivere di pressappochismo e di leggende metropolitane, quel sogno non si raggiungerà mai.
Partiamo dall’inizio: vero è che sia il caffè, sia il vino, sono di origine agricola. Come, per ora, quasi tutti gli alimenti. Diciamo quasi, perché con la moltiplicazione cellulare in laboratorio le cose potrebbero cambiare, ma noi non le vivremo, spero.
Quindi alla base c’è un terroir, con i suoi fattori pedoclimatici, colturali e culturali. Ma finisce qui
Il caffè è una drupa, l’uva (dalla quale si fa ancora il vino), una bacca. Del caffè si usano i semi, dell’uva la polpa, i semi nella produzione del vino sono, prima o poi allontanati. La fermentazione del caffè, qualunque sia, avviene a pH decisamente più alti; quindi, le specie di microrganismi che operano sono abissalmente diverse da quelle del vino. Il caffè viene tostato, il vino no.
E su quest’ultima fase di processo si è creata un’altra bufala: il caffè ha il doppio degli aromi rispetto al vino, 800 contro 300, che a ben vedere è già un errore aritmetico. In realtà la questione sta in termini ben diversi. Se questo calcolo è eseguito sulla base dell’analisi strumentale siamo ben lontani dai risultati raggiunti oggi: oltre 1500 molecole per entrambi i prodotti.
Ma in futuro potranno salire ancora, perché è solo questione di sensibilità degli strumenti. Dipende quindi la fonte dalla quale attinge lo scrittore il fatto di trovarsi con qualche centinaio o qualche migliaio di molecole volatili. Questo comunque non significa che siano olfattivamente attive, perché alcune non arrivano ai recettori e altre non sono in grado di produrre segnali.
In ogni caso rileviamo un altro errore concettuale: l’informazione olfattiva non dipende solo dal numero e dalla quantità di molecole, ma anche dai rapporti che generano tra loro. Un po’ come le lettere dell’alfabeto: pazzo e pozza contengono le stesse lettere, ma il significato è decisamente diverso.