MILANO – Siamo negli anni ’90, Luca Ramoni arriva dal settore alberghiero e si occupa di formazione, per i barman, per la Regione Lombardia. Ancora non è il Luca Ramoni che tutti conoscono oggi nel settore caffè, fondatore di Aicaf (Accademia italiana maestri caffè), che tra un anno ne compie 20.
Il cambio di passo vero e proprio avviene negli anni 2000, quando entra nelle caffetterie con dei corsi sporadici: “Nulla di approfondito, niente a che vedere con l’offerta che proponiamo oggi. Qualche torrefazione a Brescia già si interessava di erogare lezioni ai clienti.
Nel 2005, percepisco nuove esigenze arrivare dal mondo caffè: c’era bisogno di un ente diverso, dedicato proprio alla caffetteria, che era stata affrontata storicamente dalle associazioni di categoria con dei moduli di poche ore che fornivano nozioni di base senza particolare approfondimento. Era un tema vissuto come marginale – come lo è ancora per certi versi ancora oggi in alcuni ambiti -.
Ramoni: “Dal 2005 decido di sviluppare dei programmi staccati dal mondo della miscelazione”
“La caffetteria aveva bisogno di trovare una sua nuova connotazione. Sull’avvento dei primi rapporti con Altoga, ancor prima che si iniziasse della vera e propria collaborazione, ho fondato l’Accademia italiana maestri caffè (Aicaf), nel 2 giugno 2006. L’anno prossimo festeggeremo 20 anni di attività.
Una divisione della mia azienda Cefos (centro della formazione per l’ospitalità) che organizza corsi per baristi, sommelier, cuochi etc.”
“Siamo un’azienda, non un’associazione”
Specifica Ramoni: “Molti confondono le due cose, perché la struttura di Aicaf è similare a quella associativa, pur non essendo un ente senza scopo di lucro. Trasparenza, condivisione, correttezza: questi sono i nostri pilastri e su questi siamo partiti con lo scopo ben chiaro di migliorare la mano del barista, la famosa M delle 5 dietro una tazzina.
Lavorando sul professionista: originariamente non ci concentriamo solo sul prodotto, ma sull’operatore che si occupa della sua estrazione.

Noi vogliamo invece elevare innanzitutto la figura del barista. Nei primi tempi i programmi erano brevi (due-tre giorni di full immersion per ottenere la qualifica), poi negli anni ci siamo accorti che il titolo di Maestro necessitava di un maggior lavoro. Volevamo porci allo stesso livello di altri enti (Maestri Gelatieri, Maestri Pasticceri), e per fare ciò, abbiamo costruito un percorso nell’arco di 20 anni, che oggi richiede, per essere Maestri e Sommelier, 13 giorni di frequenza a tempo pieno con gli esami finali.
Proponiamo il corso per diventare barista Aicaf, Sommelier del caffè espresso (di 4 giorni, con lezioni specifiche su questo tipo di estrazione e non altre, un programma dedicato ai metodi alternativi e un programma sul caffè crudo e sulla torrefazione.
Tuttavia già il nostro nome, suggerisce il forte legame con lo stile italiano del caffè, dalle divise alle tazzine.”
Ramoni, cosa è cambiato in 20 anni?
“All’inizio eravamo in 4 a fare i corsi in Italia, ora siamo molti di più: i torrefattori stessi hanno iniziato a occuparsi di fare formazione. Per il resto non è cambiato molto: il target di Aicaf resta sempre il barista.
Forse c’è una maggiore consapevolezza da parte del settore rispetto alla necessità di sviluppare le proprie competenze. C’è dall’altra una forte difficoltà nel reperire nuove leve, soprattutto dopo il passaggio del Covid. Anche il consumatore forse ha una maggiore attenzione verso il bar.
Tendenzialmente arrivano da noi i giovani sino ai 30 anni e oltre, che puntano a svolgere dei corsi più evoluti: questo perché il mestiere del barista col tempo ti satura e quindi i baristi cercano nuovi stimoli, alcuni vogliono diventare trainer o tentano di aprire una propria attività, cosa che non è affatto semplice.
Il corsista di 20 anni fa però è lo stesso di oggi, con degli strumenti in più per aggiornarsi meglio anche con l’ausilio del web. C’è una maggiore connessione. Altro punto: la latte art prima si vedeva nelle fiere e ora è dappertutto.
Cambiata sicuramente è la qualità del prodotto, nella montatura del latte, senza bolle grosse e bollente. Il mercato stesso ha subito delle modifiche e anche per noi si sono aperte collaborazioni importanti con aziende come la Centrale di Brescia – con cui abbiamo sviluppato il Re Cappuccio per esempio – e diverse torrefazioni per la creazione di miscele.
Per quanto riguarda il caffè, abbiamo messo in funzione un panel di assaggiatori che arrivano dai nostri corsi di Sommelier del caffè Aicaf e si occupano di profilazione.”
Nei corsi baristi qual è il punto ancora dolente da far comprendere?
“Tutto più o meno si trova sullo stesso piano. Forse, durante i corsi, l’allievo fa fatica a comprendere la regolazione delle macine e l’uso dei macinacaffè on demand. Ma se il docente è capace, lo studente impara. Se non si viene compresi, il difetto è del formatore. La latte art lo stesso pone delle sfide di tipo tecnico, manuale, tuttavia sempre superabili.
Siamo un po’ una scuola guida: insegniamo a mettere le mani correttamente sul volante, poi fuori da Aicaf ci piace pensare che i nostri studenti lavorino con la stessa cura che abbiamo trasmesso. Abbiamo costruito uno spazio in cui gli allievi non ci dicono addio una volta concluso il percorso, ma restano legati a noi attraverso programmi per farli crescere ulteriormente, con assistenza e gare. Per esempio siamo alla nona edizione del Gran premio della caffetteria italiana.”
Ramoni: “Si è vista da questo punto una grande evoluzione del barista”
“Dalla prima edizione ad Host insieme ad Altoga– allestite tre sezioni su 900 metri quadri – si è vista una crescita importante. In vent’anni scriviamo sempre dei record – pensiamo al Guinness del cappuccino più grande del mondo -.
La sfida del Gran Premio della caffetteria inizialmente era composta dalla preparazione di due caffè, due cappuccini, due drink al caffè con un ingrediente gastronomico italiano (rigorosamente): ci sembrava però troppo poco, e così abbiamo inserito la parte discorsiva, una maggiore cura nella ricerca sulla materia prima, la latte art, i cocktail che ora vedono l’applicazione di metodi alternativi come V60 o AeroPress per ricette adatte a tutti i momenti della giornata.
Ora si è arrivati al caffè da inserire nel momento dell’aperitivo e le nostre gare ne sono un riflesso. C’è grande studio dietro da parte degli sfidanti e questo per noi è stata una conferma del nostro lavoro.
La gara di Aicaf però non è mai stata un traino per raccogliere nuovi corsisti, ma piuttosto avviene il contrario: ai nostri baristi, sommelier e Maestri chiediamo di mettersi in gioco per testare le proprie competenze in pedana. Molti sono riconosciuti sul mercato.
Lavoriamo sui baristi primitivi, poi le strade possono dividersi. Ma noi operiamo al fronte. Nel tempo i numeri non sono cambiati molto, ci siamo mantenuti costanti negli anni.
L’altra divisione che è nata 10 anni fa, è quella più legata alle competizioni, il Latte Art Grading System, partita da Cefos: parliamo di un sistema di certificazione che coinvolge oltre 40 Paesi nel mondo, strettamente legato alle competizioni. L’intuizione nasce nel 2014-2015, ispirati dalla certificazione dei baristi sulla routine dello show flair all’estero, che avveniva su più livelli e con trofei di diversi colori.
Su questa impronta ho strutturato la nostra competizione con le lattiere colorate per più livelli. Un po’ come le arti marziali, di cui sono molto appassionato.
Abbiamo creato un disciplinare e così è partito il sistema e la gara.”
Perché scegliere AICAF?
Abbiamo costruito nel tempo una comunità solida, dedicata alla crescita e alla formazione continua dei nostri allievi. Chi segue i corsi AICAF non smette mai di essere supportato: il nostro rapporto prosegue anche dopo la conclusione del corso, accompagnando gli studenti nel loro percorso professionale, dal barista al formatore.
Ci distinguiamo per un approccio strutturato e chiaro, con livelli di standardizzazione elevati. I nostri corsi sono organizzati in modo dettagliato, con modalità e tempistiche precise, e garantiscono un’esperienza formativa omogenea in ogni sede. Inoltre, i nostri formatori seguono linee guida coerenti, assicurando uniformità nella qualità dell’insegnamento su tutto il territorio.
Scegliere AICAF significa entrare a far parte di un network che valorizza il talento e supporta la crescita professionale a 360 gradi.
Quanti sono i formatori Aicaf?
“La nostra politica è sempre stata: pochi ma buoni. Fino a sei anni fa, l’ammissione era dettata da una nostra rigida selezione: se ci si dimostrava all’altezza, si otteneva la certificazione, altrimenti potevamo decidere di bocciare senza dare la possibilità di entrare successivamente.
Poi abbiamo ammorbidito questa politica, lasciando aperte le porte: si viene promossi e poi sarà il mercato stesso a trovare il suo equilibrio e a decretare se il professionista è valido o meno. A registro ora, sono circa un centinaio Maestri in tutta Italia. Ogni anno, al meeting di dicembre, confermiamo la nostra intenzione di non creare una massa caotica di Maestri e questo perché vogliamo sapere tutto, avere un rapporto quasi famigliare con chi frequenta Aicaf. Essere Maestri è un termine che deve conservare il suo valore.
Negli anni il barista si è evoluto in formatore, perché si guadagna meglio. Le torrefazioni non facevano corsi vent’anni fa, ora molte di esse contano su trainer interni o si appoggiano a noi che fornendo Formatori specializzati: c’è il bisogno di queste figure, come quelle degli ambassador e dei consulenti. Spesso Aicaf forma i torrefattori, sostenendoli nell’avvio delle loro stesse Accademie aziendali.
Questo però crea un effetto collaterale disastroso: chi è barista professionista, diventa formatore e quindi chi rimane a fare i cappuccini buoni dietro al bancone? Ormai restano soltanto gli stranieri: nella nostra divisione di barman, metà arrivano da fuori (Albania, India, Pakistan, Romania, Cina).
Il corso Maestro, è frequentato prevalentemente da italiani. È un dato di fatto. Parliamo di due mondi ormai sempre più distanti tra di loro.
Il bar italiano è questo: basta uscire di casa per entrare nelle caffetterie, un terzo gestite dagli stranieri. I giovani ora vogliono essere esperti dopo poco tempo, senza fare troppa gavetta. In sala corsi si notano delle mancanze che vanno poi colmate con l’insegnamento.”
Qual è il futuro dell’Aicaf nei prossimi vent’anni?

“Abbiamo dei progetti, anche a breve termine: quest’anno abbiamo messo in cantiere il nuovo concorso “il miglior sommelier d’Italia del caffè”, proprio perché volevamo far sviluppare la capacità d’assaggio del barista e del racconto della bevanda. Sempre di più l’analisi sensoriale troverà spazio in Aicaf.
Vogliamo muoverci anche su due grandi estremi della filiera, coinvolgendo il consumatore, spesso trascurato. La logica è quella formativa, con un taglio più mirato al cliente finale, con input che aprano gli occhi sulla filiera dietro un prodotto che consumano ogni giorno. È un target per certi versi incontaminato, che ha molta volta di recepire: bisogna trovare il modo di servirglielo correttamente sul piatto. Ci vorranno ancora dieci anni per vedere dei cambiamenti sostanziali.
Ma con Aicaf, ci saremo ancora nei prossimi dieci anni in prima linea.”