MODENA – Luca Gandolfi è un’altra delle voci che si sono alzate in difesa della qualità della bevanda servita nei bar italiani: un argomento quanto mai attuale, considerata la recente conquista sulla via del riconoscimento Unesco e, soprattutto, in relazione al rincaro dei prezzi che inevitabilmente ha coinvolto anche la tazzina. Ci ha raccontato la sua genesi brevemente, nel mondo dell’horeca sino ad arrivare a oggi, come trainer presso la modenese Caffè Molinari.
“Il mio è un percorso piuttosto variegato: mi sono imbattuto nel settore della ristorazione durante gli studi universitari, per mantenermi. Ho lavorato come rider, cameriere, caposala in un pub da 1000 coperti a sera nel week end, barista e barman. Chiusa la laurea in statistica, il master in international management mi ha consentito di lavorare nel settore, che oramai mi aveva rapito anche in diversi paesi esteri (Svezia, Francia e Australia). In seguito ho intrapreso un percorso in altri ambiti ma non ho mai totalmente abbandonato il bancone, mantenendo rapporti con locali e catering per eventi di rilievo. Il mondo del caffè l’ho incrociato in tempi più maturi e mi ci sono immerso a capofitto leggendo libri, sperimentando in prima persona e partecipando da subito a corsi Sca con diversi formatori e accademie per apprendere quanto più possibile, diventando a mia volta trainer autorizzato. Attualmente lavoro orgogliosamente per la storica torrefazione modenese Caffe Molinari dove mi occupo di formazione, controllo qualità, supporto alla rete vendita e fiere in Italia ed estero.”
Gandolfi, il suo post su facebook nasce da una domanda molto precisa e non semplice: qual è il prezzo giusto per l’espresso
Proviamo a partire dal quesito opposto: perché l’espresso non può più costare un euro oggi?
“Ho scritto quel post sulla mia pagina (Gaddo – Barista Trainer AST) di getto, perché già dall’anno scorso mi aspettavo si scoperchiasse questo vaso di pandora che sobbolliva da anni e che da sempre tratto con i miei “studenti” durante i corsi di formazione. Siamo in ritardo. Il prezzo della tazzina in Italia è basso da troppo tempo: è il prezzo medio più basso di tutta Europa e l’ attuale crisi sta solamente forzando il cambio nel momento peggiore possibile a causa dell’ incremento di numerose commodities, facendo però passare in secondo piano una situazione di fondo quale il food cost legato al caffè che da sempre è ignorato o quantomeno mal calcolato.”
Perché è così incomprensibile ancora nel 2022, che l’espresso debba aumentare? Quali sono i maggiori ostacoli in Italia? E sono posti più da parte di baristi, torrefattori o consumatori?
“Non è semplice cambiare rotta in un Paese dove l’ espresso al bar è visceralmente integrato con la nostra quotidianità, ha dinamiche intricate e radici attecchite molto indietro nel tempo, per giunta parzialmente aggravate da forti diversità intestine che caratterizzano il nostro paese così unico ma poliedrico. Purtroppo la nostra fama nel mondo per questo metodo estrattivo che abbiamo inventato non è altrettanto supportata da imprenditori e personale adeguatamente formato, da calcoli di food cost legati all’ espresso corretti, da un pubblico consapevole di ciò che consuma.
L’ amara verità di cui prendere atto è che non siamo così bravi come pensiamo, pecchiamo di superbia e vanagloria e questo ci ha fatto rimanere seduti. Mancano le conoscenze di base, faccio sempre questo esempio: se chiedete a 10 baristi che miscela utilizzano, in 9 vi risponderanno col nome della torrefazione. Che è un po’ come andare al ristorante di pesce, chiedere come è composta la grigliata e sentirsi rispondere “col pesce del pescivendolo qui all’ angolo”.
Cosa si può fare per cambiare le cose nel concreto? Qualcosa di drastico o un processo graduale? Lo specialty può esser un traino verso il cambiamento?
“Non reputo probabile e attuabile un cambio drastico e compatto, se non per microzone. Avverrà, anzi sta già avvenendo, un rialzo nell’ immediato ma sono necessari diversi step faticosi prima di arrivare ad una situazione più adeguata. Cosa fare? Agire, subito. Investire in formazione e cambiare mentalità: il barista non è e non può essere un “lavoretto”. Fare il barista è una professione molto complessa e ardua.
E’ necessario alzarsi presto, essere sorridenti, veloci, svegli, pazienti, saper usare un macinino, una macchina espresso, essere comunicatori, consigliare, proporre, sopportare la frustrazione e l’infelicità che spesso viene riversata addosso dai clienti… la lista è lunga ma sono certo la conosciate.
Il mondo specialty e in generale le torrefazioni che puntano sulla qualità sono un boost molto importante perché essa non può non essere supportata da altrettanta ricerca e formazione. Questo il motivo per cui, tramite la Molinari Academy, investiamo sul giusto imprinting formativo da dare ai nostri clienti. La chiave è sempre e solo la fame di sapere per migliorarsi costantemente. Leonardo da Vinci è diventato Leonardo perché era studente e maestro di sé stesso al contempo, e continuava negli anni a perfezionare le sue stesse opere in un processo continuo di miglioramento.
Il barista moderno quindi, come dev’essere? Perché ancora non è considerata quasi come una professione? Cosa manca secondo lei Gandolfi?
“Cultura. Manca cultura. Il barista moderno e l’imprenditore di settore moderno non possono prescindere da solidi passaggi di pianificazione, formazione e rinnovamento. Non ci si può più improvvisare, le condizioni economico sociali non sono più quelle di 30 anni fa e aprire o gestire un bar oggi necessita di una strategia oculata. Chi rimane schiavo dell’ anacronismo ha vita molto dura.”
Quanto è percepito il discorso di qualità legato all’aumento dei prezzi? E in quanti sanno poi davvero riconoscere la qualità?
“L’attuale aumento è dettato e percepito unicamente in relazione al rincaro delle commodities. A calcare la mano purtroppo i giornali generalisti che con ottica clickbait strillano al caro colazione senza avere la minima cognizione di causa di ciò di cui parlano. Se io ti vendo una bottiglietta di acqua, compro l’ acqua da un distributore, applico un rincaro e l’unica operazione che devo fare è bruciare un decimo di caloria corporea per prelevarla dal frigo e consegnartela.
Ciò che pochi considerano, motivo per cui ovunque tranne che in Italia un espresso da sempre costa mediamente 1,50, è che nella filiera completa per erogare “solo un caffè” concorrono una serie di passaggi e attrezzature che consumano energia elettrica e hanno componenti d’usura da cambiare periodicamente: depuratore dell’acqua, macinino, macchina espresso, lavatazze. Ma quasi nessuno considera queste voci nel calcolo del food cost.
Riconoscere la qualità? La maggior parte degli espressi in Italia sono sgradevoli senza zucchero (spesso non basta neanche quello) tanto che siamo tra i maggiori edulcoratori della nostra bevanda.
Il motivo non è legato solamente alla qualità della miscela ma, nella maggior parte dei casi, sono passaggi della lavorazione sbagliati. Perché continuiamo ad accettare caffè bruciati e mal fatti quando se riceviamo una pizza o una paillard di carne bruciata ce la facciamo rifare? L’unico modo per alzare la testa è tramite la formazione, la comunicazione e l’evoluzione.”
Come commenterebbe l’altro allarme lanciato dalla categoria, che non trova più personale formato e non disposto a lavorare nei bar?
“Triste e preoccupante. È un argomento molto delicato che va dipanato con calma poiché concorrono al problema più variabili: Stato, tasse, contratti, stipendi, mentalità degli imprenditori e del personale, incertezza del futuro, instabilità emotiva legata ad un “momento” che dura ormai da 2 anni, mancanza di progettualità. Il settore della ristorazione vive da sempre di passione ma la passione logora lentamente anche i più volenterosi quando le dinamiche sono viziate, motivo per cui chi ora punta il dito verso il reddito di cittadinanza, ritengo non abbia un occhio abbastanza critico.”