lunedì 23 Dicembre 2024
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Bacchetta, Enea: “Qual è il possibile impatto economico dei sottoprodotti del caffè”

L’indagine sulla situazione attuale del riciclo ha coinvolto molti Paesi dell'America Latina grazie anche alla collaborazione con l’IILA. Tutto è iniziato insieme all’Accademia del caffè espresso, con l’invio di un questionario all’indirizzario condiviso con l'IILA, costituito da tre parti fondamentali: i residui, il ruolo delle donne, le certificazioni

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MILANO – Durante il workshop di presentazione del Master Caffè aRoma Tre presso l’Università degli studi di Roma Tre, tra gli interlocutori che hanno esplorato le varie declinazioni del chicco, anche Loretta Bacchetta, ricercatrice presso Enea nella Divisione Biotecnologie e Agroindustrie e docente di UNIROMA3, che si è interessata della seconda vita dei sottoprodotti del caffè alle origini. I progetti portati avanti insieme al suo team, vedono in primo piano due giovani ricercatori: Caterina Tarozzi e Emanuel Bojorquez
Quintal, rispettivamente tirocinante Enea/Sioi – Società italiana per l’organizzazione internazionale – e ricercatore de El Colegio de Michoacan, Borsista IILA). Le attività di ricerca sviluppate in collaborazione con l’Accademia del caffè espresso La Marzocco e la Segreteria Socio-Economica dell’IILAOrganizzazione Internazionale Italo-Latino Americana, sono un ottimo esempio di economia circolare. Ne abbiamo parlato con loro.

Bacchetta, nei residui, un’opportunità per la filiera

Da aprile-maggio è partito un progetto che riguarda la valorizzazione e l’utilizzo dei sottoprodotti legati alla lavorazione del caffè: non solo quindi scarti che derivano dalla moka e dalle cialde, ma anche dal chicco. Si tratta di una vera e propria analisi di diversi materiali come l’acqua impiegata per il lavaggio del caffè, oppure dalle parti della ciliegia come il pergamino e la polpa.

Lo studio ha posto il focus sul riutilizzo di questi sottoprodotti. Racconta Loretta Bacchetta: “Per dare un valore pratico alle attività di ricerca, è stata avviata un’indagine su pratiche virtuose di riciclo degli scarti della lavorazione del caffè verde che ha portato ad intervistare diversi operatori tra cui la El grupo de café Tlecuaxco in Messico. Nella Sierra de Zongolica, Veracruz, le ciliegie essiccate al sole, una volta estratto il caffè verde, vengono riciclate per circa il 40% come biofertilizzanti e in una piccola percentuale (circa il 5%) per ottenere degli infusi di tè dal gusto particolare, piuttosto dolce.

Da sinistra: Caterina Tarozzi, Massimo Battaglia e Loretta Bacchetta, nell’Accademia del caffè espresso

Una parte è invece utilizzata come biofertilizzante, ma più del 50% degli scarti non viene utilizzato. Su 35 kg di ciliegie raccolte lo scarto alla fine del processo è di 28 kg. L’attività di ricerca della borsa di studio di Emanuel, nel Laboratorio Bioprocessi e Bioprodotti di ENEA, è proprio quello di caratterizzare dal punto di vista chimico questi scarti al fine di comprenderne le potenzialità e le modalità di utilizzo anche ai fini commerciali.”

I sottoprodotti del caffè

“La possibilità di ricavare una remunerazione dalla vendita degli scarti” aggiunge Emanuel “significa un reddito addizionale per i produttori di caffè, che oggi rappresenta un costo soprattutto ambientale. Nuove filiere produttive possono generare nuove fonti di occupazione, oltre che un miglioramento delle condizioni di vita”.

L’indagine sulla situazione attuale del riciclo ha coinvolto molti Paesi dell’America Latina grazie anche alla collaborazione con l’IILA. Tutto è iniziato insieme all’Accademia del caffè espresso, con l’invio di un questionario all’indirizzario condiviso con l’IILA, costituito da tre parti fondamentali: i residui, il ruolo delle donne, le certificazioni.

Aggiunge Caterina: “il gender equality è un aspetto importante del nostro progetto: sono davvero tante le donne che lavorano in queste aziende e si vuole esplorare quali sono i ruoli che svolgono e come valorizzare tali figure. A luglio poi, abbiamo avuto la possibilità di esporre questo progetto all’IILA, riscontrando un forte interesse in particolare sulle pratiche di riciclo che vengono già messe in atto in America Latina sugli scarti”.

“Una volta raccolti i dati” aggiunge Bacchetta “saremmo in grado di capire se e dove sarà possibile realizzare un innovazione di processo mettendo a disposizione le nostre competenze, in tal modo potremmo promuovere una condivisione ed uno scambio di esperienze virtuose”. Il questionario è stato inviato in questo mese agli istituti nazionali del caffè e alle Ambasciate dei paesi membri dell’IILA. Per ora c’è stato già un buon riscontro. “

Il punto sui tre temi

Una parte dei risultati raccolti nella prima fase di indagine, saranno elaborati e presentati a metà novembre a Roma durante il 2°Congresso Internazionale sull’Agrobiodiversità L’obiettivo resta quello di sviluppare una tecnologia che sia applicabile concretamente.

Specifica Loretta Bacchetta: “Le attività di ricerca al momento vanno in due direzioni. Una è quella che verte verso gli infusi e l’estrazione di pectine. L’altra invece si applica sul suolo: i sottoprodotti tra cui il silver skin e il pergamino o la stessa ciliegia, vengono ricondotti in compost.

La lavorazione dei sottoprodotti

Un altro aspetto interessante da sottolineare per un’eventuale integrazione del reddito, è relativo alla produzione del miele, parecchio ricercato e che qualche agricoltore sta iniziando a valutare: il caffè si collega ad esso perché i suoi fiori, considerati dei veri e propri sottoprodotti al pari delle foglie utilizzabili anche per infusi, possono esser riposti nelle arnie dai pronubi e trasformati così il miele prelibato. “

Scendendo nel dettaglio della prima intervista a Damián Xotlanihua Flores, membro della cooperativa messicana

Damian e la Cooperativa in Sierra de Zongolica Veracruz

Emanuel si è occupato di questo scambio: “Dalla caratterizzazione dei residui impiegati per ottenere l’infuso e per altri riutilizzi, ci aspettiamo risultati interessanti, stiamo ora lavorando su queste matrici per trasformarle da un danno per l’ambiente a fonti di bio molecole funzionali, come ad esempio la mucillagine e le pectine. Per ottimizzare il processo di estrazione, stiamo studiando diversi aspetti come il ph, la temperatura, la forza ionica dell’acqua di estrazione, in modo da definire i fattori critici. Successivamente si procederà ad effettuare la caratterizzazione fisica, chimica, microbiologica della molecola e in seguito se ne individueranno le possibili applicazioni tecnologiche nell’agro industria, nell’agro alimentare, oppure per il restauro del patrimonio culturale.

Dentro il laboratorio Enea con (da sinistra): Oliviero Maccioni, Emanuel Bojorquez Quintal e Loretta Bacchetta

Il pergamino e il silverskin, sono biomolecole con attività biologica o antiossidante che possono per questo esser molto utili per il restauro dei beni culturali: pensiamo che gli estratti da questi materiali possono avere una valenza come biocida naturale. Un esempio può essere riscontrato nella pittura (così come già si usava nella tradizione messicana): la fibra, il legno, possono esser attaccati da diversi micro organismi come ad esempio i funghi che crescono sulla superficie. Per diminuire o evitare la crescita di questi patogeni, è possibile estrarre le molecole contenute nel pergamino e nel silver skin e poi applicarle sulle pitture.

Inoltre, sulla base della nostra precedente esperienza sulla mucillagine estratta dall’Opuntia ficus indica, l’aggiunta di una percentuale di mucillagine del caffè potrebbe conferire proprietà interessanti per la produzione di biomalte. Le mucillagini sono costituite da polisaccaridi ad alto peso molecolare che nelle piante hanno la capacità di legare l’acqua, l’aggiunta di una percentuale di questo gel, ricco di acidi uronici, nella produzione di malte può contribuire a rendere i materiali più performanti. Ancora oggi, quando si dipingono le case in Messico, viene aggiunta alla tinta non solo l’acqua, ma anche la mucillagine (del fico d’india fino ad adesso). “

Emanuel riprende quindi il racconto dei coltivatori coinvolti nello studio: “Damiano e la sua famiglia sono produttori di caffè di qualità, in una piccola azienda che si trova in Veracruz Messico. Qui si produce Arabica a un’altitudine di 1400-1500 metri sopra il livello del mare. “

Aggiunge Loretta Bacchetta:

“Questa cooperativa è molto interessante anche perché è molto aperta a questa possibilità di riutilizzo dei sottoprodotti e sta avviando una piccola attività di torrefazione. Questo è un primo tentativo importante da parte dei produttori di caffè verde, di diversificare la propria produzione.

bacchetta
Sierra de Zongolica

Sulla stessa linea rientra il riutilizzo di questi sottoprodotti, in quanto può aiutare economicamente su più livelli: è un’attività addizionale per l’azienda, che può così produrre un reddito aggiuntivo rispetto alla sola coltivazione. Se un farmer, oltre al caffè, riesce anche a vendere gli infusi e la ciliegia da cui si estrarre la mucillagine, allarga le sue possibilità di business. In Europa esistono già degli incentivi per i produttori che adottano best practices, e l’auspicio è che si possa arrivare allo stesso punto anche in America Latina. “

Ancora più nel dettaglio, Emanuel: “Gli scarti di caffè, vengono impiegati dall’azienda in parte come fertilizzante e in piccola parte per il . In Messico non c’è una vera e propria cultura del tè, ma l’obiettivo è quello di espandere questo mercato. Nel Paese si consuma invece parecchio liquore e birra e il riutilizzo dei sottoprodotti può orientarsi nella creazione del liquore e birra al caffè ricavato proprio dal ciliegia che ha un gusto di frutti rossi.

Puntualizza Caterina: “Altri benefici economici arrivano ovviamente dalla riduzione dei costi: tutto ciò che viene riutilizzato vede il suo costo abbattuto, perché viene sfruttato del tutto.”

L’indagine serve appunto a capire quanto queste applicazioni sono avanzate o sono ancora embrionali: ci si attende dal riscontro con l’IILA di saperlo con esattezza.

A dicembre si potranno tirare un po’ le somme sui risultati.

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