MILANO – Lorenzo Baffi inizia già a 16 anni il suo lavoro in caffetteria nel bar degli zii, il Croce Bianca a Fiorenzuola D’Arda in provincia di Piacenza. Sono bastati pochi anni per accorgersi di aver bisogno di formarsi, provando così a diventare un barista a 360 gradi. Dalle discoteche ai centri commerciali, ha girato ogni tipo di locale, sino a quando ha incontrato i suoi maestri (e che maestri): Luigi Lupi e Chiara Bergonzi – era lui, racconta, a passare le tazze alla Queen durante i campionati -. Così è iniziato il suo amore per il caffè di qualità.
Il contatto con gli specialty che lo ha portato ad affermarsi come barista formato nei moduli Sca professional, brewing, green e sensory. La sua prima esperienza a Milano, in un coffee shop in Porta Ticinese: “Ho capito che quello che mi piaceva era condividere la mia passione con le persone. Sentivo il bisogno di divulgare la cultura della bevanda. Allora ho iniziato a fare il trainer, insegnando prima da McDonald’s Italia ai ragazzi come gestire gli angoli dedicati al caffè. Poi come brand ambassador per Caffè Trucillo.”
Aggiunge Baffi: “Nel 2020 sono stato campione di moka: anche questo un bisogno di mettersi in gioco e di dimostrare che è un metodo di estrazione non sbagliato. Durante il Covid, nel 2020 ho fatto formazione a Bellinzona (Svizzera) in un locale che usava già gli specialty: erano dei corsi fatti durante il classico servizio da banco, affiancando i ragazzi. Così ho conosciuto il mercato svizzero.”
Baffi è un altro dei talenti qualificati italiani che è andato fuori casa per lavorare
Ci ha raccontato lui stesso: “Mi sono reso presto conto che il cliente era molto più ricettivo e penso che questo sia dovuto anche e innanzitutto al prezzo dell’espresso che qui è già più alto, sui 2 euro e 41 (2 franchi e 50), e il cappuccino da 4/5 franchi (se ci si addentro poi nel territorio, può anche raddoppiare). Il cliente qui spende e capisce quello che sta consumando, un po’ per il contesto sociale, un po’ per il potere d’acquisto che in Svizzera è differente. Ma l’aspetto fondamentale è che qui si può lavorare con la qualità, senza vergognarsi nel proporla.
Qua questo tipo di business è ancora vergine, soprattutto nel Canton Ticino: il mondo dello specialty ancora non è arrivato. I titolari del locale in cui lavoro Domenico Trunfio e Jacopo Zulliger mi hanno detto: abbiamo un progetto da portare avanti a Locarno in cui vogliamo puntare sullo specialty e lavorare bene. Mi sono così trovato un’offerta lavorativa che mi dà modo di esprimere la mia passione e le mie competenze.
È stata la prima volta che mi hanno dato carta bianca sulla scelta dell’attrezzatura (lavoro con una Rancilio Specialty e con 3 macinini Mahlkonig, E65S GBW, E65S e EK43): tutto questo è INKA Locarno. Il comodato non esiste. Insomma, si è realizzato ciò che un barista formato sogna. E in più si serve soltanto specialty.
Proponiamo un blend fatto da Chiara Bergonzi, UnOrdinary Brasile Perù Honduras Indonesia come offerta della casa e poi abbiamo un macinino dedicato alla single origin che cambio ogni mese: un centro americano e un africano. Poi ho la parte del caffè filtro a disposizione: chemex, v60, aeropress, moka, batch brew che posso variare ogni volta. E la stessa libertà si riflette nello studio di un menù internazionale, incluse le altre bevande a base caffè.
Il che è un bene, dato che Locarno è una zona estremamente turistica: abbiamo aperto a maggio 2021 e mi son trovato d’estate ad avere baristi e coffeelover che arrivavano dal Lussemburgo, Australia, Londra, Zurigo, ed erano entusiasti dell’offerta specialty.
È ovvio che in Svizzera c’è anche la questione dello stipendio più alto, ma la cosa che fa la differenza è l’habitat che mi dà modo di esprimermi con una clientela ricettiva e comprende.”
Il rispetto del barista come professionista
“Ho modo di poter lavorare nel rispetto della materia prima senza compromessi. E nel rispetto della professione del barista. Qui se hai studiato, hai modo di metterlo in pratica in un mercato che te lo permette. Il prezzo della tazzina è congruo con la qualità di ciò che servi e nessuno si lamenta.
Chi è in sala poi, è una figura differente da chi sta dietro il bancone, che invece si occupa esclusivamente di preparare e di presentare la bevanda. In Italia non esiste questa distinzione e invece aiuta tanto l’operatore. “
E la mancanza di personale, Baffi, come la commenta?
“Quando ho iniziato a lavorare in Svizzera ho iniziato a cercare personale formato per lavorare insieme. Tante persone volevano venire, perché lo stipendio minimo è di 2800 euro (3000 franchi) ed è normale per contratto nazionale. E parliamo appunto del contratto: io ne ho firmato uno che equivale a quello a tempo indeterminato italiano. Nel sud Italia si lavora a 600 euro al mese e con forme in nero: e allora, perché accettare e non andare invece dove le condizioni di lavoro e di retribuzione sono migliori? Certo è un
sacrificio staccarsi da casa propria. Ma poi si pensa al futuro e la casa diventa l’altro Paese.
Per me stare qua è un progetto di vita e professionale. Il mio obiettivo è quello di portare il concept al massimo, farmi conoscere nella community di qui, insegnare in un mercato che lo richiede molto, creare altri locali. Qua posso in sostanza pensare a lungo termine, in Italia è molto difficile.”
A grandi linee: in Italia un dipendente costa quasi il doppio al gestore
Continua Baffi: “Per questo è impossibile che l’espresso rimanga fermo ad un euro: c’è anche il costo del personale da mettere in conto. C’è l’errata convinzione di esser la Patria del caffè, ma ne sappiamo ben poco. Succede che il consumatore medio è convinto di saper fare nel migliore dei modi l’espresso ad un prezzo popolare. Ma il costo deve esser legato alla qualità che si sta proponendo.
L’ulteriore problema è che il consumatore non si accorge neppure di quello che sta bevendo. Il torrefattore di una volta ha sempre avuto a che fare con dei clienti ignoranti, e ha contribuito a convincerli nel tempo che l’amaro sia una caratteristica propria dell’espresso. Nel 2020 e ancor prima, ci siamo confrontati con delle evidenze chimico-fisiche che quella tostatura bruciata non va bene, come non sarebbe salutare mangiare la pizza bruciata.
Sono convinto che la qualità pagherà sempre di più. Nel 2022 finalmente abbiamo un po’ di strumenti per poter combattere sul prezzo: ora basta un click per accedere agli studi che dimostrano che il caffè non è un chicco bruciato. “
Baffi, come lo comunicherebbe al consumatore italiano?
“Ci ho provato per tanto tempo quando lavoravo in Italia. Cercavo di spiegare oggettivamente con il sostegno delle prove a mio favore. Alle persone convinte di aver la ragione in tasca, dimostravo attraverso delle prove certe e scientifiche che non c’erano più scuse. Per quanto riguarda il prezzo, è una battaglia che siamo destinati a perdere. Finché anche il Codacons non è nostro alleato, sarà una strada in salita. Ma il
modo per coinvolgere il cliente è quello di studiare, perché bisogna esser competenti per esser credibili. Se ci formiamo e diventiamo impermeabili ai luoghi comuni, si potrà argomentare ed educare.
Tanti ancora sono d’accordo con l’aumento del caffè per una questione di guadagno, senza sapere però perché è aumentato il prezzo, perché è necessario cambiare, quali sono le condizioni di chi lavora la materia prima. Neppure questo può funzionare. I gestori devono comprenderne le ragioni più profonde all’origine. Ho paura che il cliente di questi titolari, quando chiederà spiegazioni, non troverà le giuste risposte. Con le dovute conseguenze. Non è una moda, è una cosa seria.”
Gli specialty possono aiutare in questo cambiamento del prezzo?
“Quando il locale è prettamente concentrato sugli specialty, sì: il concetto e la filosofia del locale coincidono. Se il bar è quello classico e vuole inserire uno specialty, ha senso proporre la miscela base che si sta usando, con in affiancamento una single origin. E questo è già un segnale già che in quel caffè si conosce la qualità. A patto che sia preso sul serio e non come semplice moda, perché c’è sempre il rischio di prendere, pagare e far pagare, delle bevande non eccellenti.
Come il trend dello specialties (specialità) che si sta diffondendo ultimamente: ci sono persone che cercano di vendere questi prodotti come di alto livello, e sono in realtà single origin che però non rispondono strettamente ai requisiti degli specialty (tracciabilità, sostenibilità, trasparenza, contatto con la filiera). Bisogna fare attenzione nel non cadere delle trappole. Anche qui, la differenza la fa solo la formazione. In Italia il barista ancora fa questo lavoro per pagarsi gli studi. Sono in pochi che lo fanno perché ne sono fieri, sono appassionati. Io sono rinato facendo il barista, partecipando alle gare, viaggiando come ambassador.
In Piazza Grande a Locarno noi portiamo la qualità della materia prima dalle bevande al cibo ed è una scelta che paga soprattutto ora e che poi i consumatori sono contenti di pagare. Ormai la visione è cambiata di questi tempi: si va poche volte a mangiare fuori casa, ma i pochi soldi che si hanno a disposizione si spendono nel modo giusto. E sarà così anche per il caffè. Le aziende quindi o cambiano o muoiono.”
Baffi, obiettivi per il 2022?
Chiude così Baffi: “Portare questo progetto al massimo e spingerlo ancora più forte. Voglio fare parte del cambiamento. La mia sfida in Canton Ticino è che ancora non esiste nulla del genere: il mio obiettivo e smuovere il mercato. Spero che con la comunicazione le persone inizi a comprendere questo discorso. Poi mi sono anche iscritto al campionato di cup tasting del Sigep e vado lì per vincere. Voglio anche iscrivermi a qualche gara in Svizzera. Per far conoscere INKA come specialty coffee shop. Qui c’è l’habitat giusto per esprimersi da professionista.”