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venerdì 22 Novembre 2024
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In Sicilia la Fase 2 non mette d’accordo: il 30% dei locali resta chiuso

Bar, ristoranti e pub «per mentalità e consuetudine sono luoghi di aggregazione, punti di incontro e non - sottolinea il presidente regionale della Fipe Confcommercio Dario Pistorio- posti dove ordinare qualcosa da consumare altrove»

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SICILIA – Il lockdown è terminato lunedì 4 maggio: chi desidera prendere un caffè d’asporto, ora, può farlo. Per questo gli esercenti si sono attivati per garantire questo servizio e tentare di fare un po’ di cassa. Ma queste nuove modalità possono davvero esser sufficienti e funzionare ugualmente dappertutto in Italia? Non è proprio così. Leggiamo nell’isola siciliana che cosa succede, da meridionews.it.

Sicilia: il 70% delle attività del settore della ristorazione ha riaperto

Ma il restante 30 invece ha scelto di tenere ancora le saracinesche abbassate. I conti sono quelli di Dario Pistorio, il presidente regionale della Fipe Confcommercio. Dietro i numeri ci sono scelte di vita e di lavoro che sembrano, in entrambi i casi, tutt’altro che definitive. Chi ha riaperto all’alba della fase 2 dell’emergenza Covid-19, dopo oltre 50 giorni di lockdown, ha fatto una scommessa. Altri hanno scelto la via della prudenza.

«Chi non ha riaperto sta osservando la situazione: è un momento in cui non si conoscono più i clienti perché la quarantena ha modificato le abitudini alimentari delle persone», fa notare Pistorio. Bar, ristoranti e pub «per mentalità e consuetudine sono luoghi di aggregazione, punti di incontro e non – sottolinea il presidente della Fipe di Sicilia – posti dove ordinare qualcosa da consumare altrove».

Ne è convinto Carlo Gradenigo che a Siracusa da quasi nove anni gestisce il pub l’Hmora e che non ha mai fatto asporto né consegne a domicilio

«La socialità è al centro di una attività come la mia», racconta il titolare.

Del resto, se una birra in bottiglia deve essere consumata a casa allora è senza dubbio più conveniente comprarla al supermercato. «Altra questione che mi ha spinto a scegliere di non riaprire subito – spiega Gradenigo – è il senso di responsabilità: c’è il rischio che si creino degli assembramenti fuori dal locale e, se devo pensare a lavorare bene, non posso nel frattempo pensare a fare il vigile urbano».

Assumere qualcuno a cui farlo fare, poi, è impensabile. «A questo punto – continua il titolare del pub – abbiamo fatto trenta e facciamo anche trentuno». Insomma, per riaprire si aspetta la fase in cui si potrà consumare all’interno dei locali. «Ovviamente sarà tutto da rifare e dovremmo imparare a contingentarci da soli – dice sorridendo – perché fare un aperitivo in una tavolata da dieci è impensabile».

Chi, pur essendo «in teoria pro-apertura», non ha riaperto è Marcello De Vincenzo, ristoratore messinese che gestisce la pizzeria L’ingrediente. Per giorni ha portato avanti uno sciopero della fame come forma di protesta per il rischio di non riuscire più a rialzare le saracinesche.

«Pur volendo aprire, tra affitto, bollette e fornitori partirei con undebito di circa 30mila euro – dice con la calcolatrice alla mano – Senza contare che dovrei anche fare delle spese per rifornire, riassumere, sanificare, modificare il locale per rispettare tutte le misure previste dai decreti». A conti fatti, il gioco non vale la candela. «In tre mesi, riuscirei mai a guadagnare 80mila euro?», domanda De Vincenzo avendo già la risposta.

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Giuseppe Di Vincenzo da anni gestisce a Bronte l’Antica dolceria che porta il suo cognome e che è stata aperta dal padre nel 1974. «Per riaprire abbiamo deciso di aspettare che le persone possano consumare all’interno.

Altrimenti – aggiunge Di Vincenzo – avremmo perso il sussidio economico e lo sgravo sull’affitto, senza certezze sui guadagni». Anche i bar sono tra quei luoghi della socialità penalizzati dalle modalità a distanza previste in questa fase. «Un cliente che entra – continua il titolare – ha il piacere di prendere il caffè al bancone e magari di accompagnarlo con un dolcino». Una pausa, insomma, in cui concedersi un piacere. «Come si fa a pensare che la gente possa permetterselo in un momento in cui molti non hanno nemmeno i soldi per le necessità?».

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