Il silverskin corrisponde tra l’1% e il 2% del peso totale del chicco di caffè e, fino a poco tempo fa, era considerato un rifiuto speciale e costoso da smaltire. Poi è stata presa la decisione di avviare uno studio per comprendere come riciclarlo: è stato dimostrato che il suo utilizzo conferisce caratteristiche particolari alla creazioni prodotti cosmetici.
Le applicazioni del silverskin tuttavia non finiscono qui: il materiale diventa prezioso anche per l’agricoltura perché migliora la fertilità del terreno e può essere utilizzato per la produzione della carta. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicata su Il Corriere della Sera.
L’utilizzo del silverskin, la pelle del caffè
MILANO – L’80 per cento degli italiani beve almeno una tazzina di caffè al giorno per un consumo di sei chili a testa all’anno. Ogni giorno su scala globale si bevono 3,1 miliardi di tazzine per un giro di affari valutato in circa 120 miliardi di dollari. E il consumo potrebbe aumentare arrivando nel 2030 a 3,8 miliardi di tazzine. Numeri che danno un’idea della produzione e vendita di caffè e, naturalmente, della quantità di scarti.
Organizzato dal Cnr, l’evento “L’economia circolare che si può riutilizzare ogni giorno”, che si è tenuto l’8 marzo presso l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere a Milano, vuole evidenziare come i rifiuti possono diventare una risorsa, utilizzati anche come materie prime per altre industrie.
È il caso del silverskin, una pellicola di colore argento e molto soffice, che riveste il seme del caffè e viene rilasciata durante il processo di tostatura.
Corrisponde tra l’uno e il due per cento del peso totale del chicco e fino a poco tempo era considerata un rifiuto speciale anche molto costoso da smaltire. Poi la decisione di avviare uno studio per comprendere come riciclarlo.
Il Cnr con l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche è stato il capofila del progetto CirCo “Multi valorization of silverskin, a residue of the coffee roasting industry” portato avanti con il Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università di Milano, l’Accademia Eurac Research di Bolzano, la multinazionale cosmetica Intercos, la cartiera Favini e finanziato dalla Fondazione Cariplo e Innovhub – Stazioni sperimentali per l’industria.
“La nostra missione è valorizzare cosa c’è nello scarto, mai bruciarlo”, dice Nicoletta Ravasio, ricercatrice al Cnr. Nel corso della ricerca, durata dal 2018 al 2021, si è analizzata la pellicina che contiene un grasso di composizione insolita e cellulosa.
Il grasso è stato estratto con una tecnica sostenibile, ovvero in CO2 supercritica, ed è stato dimostrato che il suo utilizzo conferisce caratteristiche particolari ad alcuni prodotti cosmetici. Lo definisce “un burro di silverskin”, Patrizia Valsesia, raw material laboratory manager di Intercos SpA, “di origine naturale e, soprattutto, proveniente da un processo di upcycling”.
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