mercoledì 30 Ottobre 2024

Lindt e Caffarel, situazione in stallo: 90 operai e impiegati a rischio

Ventitrè anni dopo l'unione fra produttori di cioccolato si presenta come una ricetta dagli ingredienti amari. C’è un gruppo internazionale che assorbe risorse dalla sua piccola controllata piemontese, invece di investire per rilanciarla come accaduto a tante imprese italiane a controllo estero

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MILANO – Un equilibrio precario quello che si è venuto a creare tra la svizzera Lindt e l’italiana Caffarel, acquistata dalla prima nel 1998 e attualmente incastrata in una condizione sfavorevole dalla stessa multinazionale che avrebbe dovuto investire: invece ora a rischio sono gli impiegati e operai. Leggiamo come si è arrivati alla situazione odierna, dall’articolo di Federico Fubini su corriere.it.

Caffarel, tensione con la proprietaria svizzera

Quando nel 1998 venne comprata da Lindt & Sprüngli, Caffarel sembrava a un passo dalla consacrazione sui mercati globali. Fondata quasi due secoli fa, celebre per i gianduiotti e la gamma di cioccolato di qualità, l’azienda piemontese era allora fra le aree più redditizie della multinazionale svizzera che ne aveva acquisito il controllo.

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Ventitrè anni dopo questa unione fra produttori di cioccolato si presenta come una ricetta dagli ingredienti amari. C’è un gruppo internazionale che assorbe risorse dalla sua piccola controllata piemontese, invece di investire per rilanciarla come accaduto a tante imprese italiane a controllo estero.

Ci sono comportamenti legali, ma opportunistici, della multinazionale svizzera nei confronti del fisco del Paese che la ospita. E ci sono 90 operai e impiegati a Luserna San Giovanni, un quarto dei dipendenti di Caffarel, sul punto di perdere il posto in un’area depressa della provincia torinese.

Commenta una portavoce dell’azienda:

«Al momento Caffarel non è in grado di confermare i 90 esuberi. A causa delle perduranti difficoltà, aggravate dalla pandemia, abbiamo dovuto decidere di ottimizzare alcune strutture e processi interni. Lindt & Sprüngli sta esaminando tutte le soluzioni disponibili per rivitalizzare il marchio». Ma che si stia per procedere agli esuberi è risultato chiaro ai sindacalisti nei colloqui con l’azienda all’Unione industriale di Torino pochi giorni fa.

L’amministratore delegato di Caffarel Benedict Riccabona quel giorno ha fatto sapere di essere in ferie e non si è presentato. Austriaco, ex responsabile di Lindt in Cina, in due anni a Caffarel Riccabona del resto non avrebbe neppure cercato di imparare l’italiano e prova a comunicare in inglese persino con la forza di vendita che distribuisce cioccolatini in migliaia di bar della provincia. Dell’Italia però Riccabona conosce una particolarità: il dimezzamento della propria base imponibile consentito da una legge del 2015 a manager e professionisti europei che arrivano dall’estero (interpellato su questo, Riccabona non ha risposto).

Quella norma può essere utile al tessuto produttivo di un Paese, al punto che vari governi europei ne hanno di simili. Ma non è il solo modo in cui i manager di Lindt cercano oggi di ridurre – legalmente – i loro oneri fiscali a Caffarel. Quello principale sembra una delle cause delle difficoltà dell’azienda di Luserna San Giovanni.

Quest’ultima è soggetta ogni anno a «commissioni di management» e «commissioni per uso delle licenze» da versare per vari milioni all’anno alla controllante di Kilchberg, nel cantone di Zurigo. Le commissioni di management sono una tariffa oraria applicata dai dirigenti di Lindt per il loro tempo trascorso a colloquio con quelli di Caffarel. Le commissioni sulle licenze derivano invece dal fatto che Lindt ha acquisito la proprietà intellettuale dei dolciumi Caffarel e ora si fa pagare da quest’ultima per consentirle di produrli. Entrambe le pratiche sono diffuse fra le multinazionali, perché spostano legalmente risorse a favore della casa madre (in questo caso, in Svizzera) senza farle emergere come profitti tassabili nel Paese della controllata (in questo caso, in Italia). Ma applicare simili tariffe a un’azienda in difficoltà come Caffarel – che pure negli anni ha avuto ordinativi da Lindt – oggi appare a molti osservatori discutibile.

Senz’altro avrà pesato su Caffarel anche la concorrenza dei prodotti a marchio Lindt in Italia, loro sì sostenuti dalla controllante.

Ma colpisce un dettaglio: pochi mesi fa Lindt Italia ha comprato S.T. Spa

La società esterna che ne distribuiva i cioccolatini nei centri commerciali del Paese. S.T. aveva registrato perdite per 949 mila di euro nell’anno chiuso a giugno 2020, secondo Cerved, con un patrimonio netto più che dimezzato in due anni a soli 726 mila euro. Per S.T., Lindt Italia ha sborsato circa 12 milioni di euro – più o meno quattro volte l’eventuale risparmio annuo dall’eventuale taglio di 90 addetti Caffarel – quando la ben più nota Stefanel con 23 negozi di proprietà era passata di mano negli stessi mesi a soli 3,2 milioni. Il titolare della S.T. era Edoardo Bulgheroni, di Varese. Presidente di Lindt Italia, che controlla Caffarel, è invece suo padre Antonio Bulgheroni. Il quale assicura: «Operazione limpida, corretta e trasparente».

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