MILANO – Il cacao è un alimento ricco di importanti principi nutritivi, che vanno dalla feniletilamina alla teobromina, dalla caffeina al triptofano. La sua presenza in una dieta equilibrata sarebbe dunque auspicabile. La forma però in cui lo troviamo in commercio (prevalentamente come cioccolato) è talmente annacquata da coformulanti (zucchero e latte) da aver perso la maggior parte dei suoi pregi.
C’è scampo? Vediamo di capirne un po’ di più. Quando nel 1502 Colombo ne portò alla regina di Spagna alcune piante, il cacao (Theobroma cacao L.) non riscosse particolare successo.
Eppure nelle americhe i Maya ne consumavano abitualmente grandi quantità stemperate in acqua calda (da cui pare il nome: xocol – atl = calda acqua), spesso aromatizzate con vaniglia, peperoncino, pepe, e addensate con farina di mais o miele.
Ci volle Còrtez, qualche decina d’anni più tardi, per portare in Spagna questa strana bevanda, che si diffuse (in quanto tale: per il cioccolato solido era necessario aspettare ancora qualche secolo) dapprima tra re e nobili, poi via via a tutti gli altri. I primi agricoltori a coltivare il cacao (il cui nome deriva da kakawa, più tardi kakaw) furono appunto i Maya, intorno al 1000 a.C.
I semi, contenuti all’interno di un frutto piuttosto grosso (quasi come un melone), venivano fermentati, poi ripuliti, e infine cotti (per ridurre le componenti amare) e frantumati per estrarne il contenuto, costituito per circa metà da grassi (burro di cacao) e per l’altra metà dalla cosiddetta “pasta di cacao” contenente proteine, minerali, carboidrati e tutte le altre sostanze aromatiche, stimolanti o psicoattive che fanno del cioccolato il “cibo degli dei” (Theobroma) secondo l’interpretazione di Linneo.
Perché una polvere amara, poco solubile in acqua e fondamentalmente grumosa si è diffusa in modo così rapido da un continente all’altro?
La risposta sta nei suoi componenti, che vanno a stimolare i centri di gratificazione del cervello umano al pari di alcol, tabacco, zucchero e altre droghe.
Come il cacao così il cioccolato, suo derivato, è infatti un prodotto blandamente psicoattivo per via del suo contenuto di teobromina, di feniletilamina, di piccole quantità di anandamide (un cannabinoide), caffeina, triptofano ed epicatechine (flavonoidi antiossidanti).
La quantità di caffeina contenuta nel cioccolato non è considerata significativa (circa un decimo rispetto alla teobromina). La teobromina (una xantina) è un alcaloide naturale presente in piccole quantità anche nelle foglie di tè. Svolge azione stimolante del sistema nervoso centrale ed ha anche una lieve azione diuretica e di modesto effetto vasodilatatore.
La feniletilamina è invece un alcaloide dagli effetti simili ad un’amfetamina, in grado quindi di stimolare il metabolismo in modo efficace. L’anandamide dà benessere e serenità interiore, con la collaborazione del triptofano, che è un precursore della serotonina, mentre le epicatechine svolgono azione protettiva antiossidante sull’intero organismo.
Non sembra dunque scorretto chiamare il cacao “cibo degli dei” per le sue doti energetiche, stimolanti e protettive. Eppure, qualche altra considerazione deve essere fatta prima di poter assegnare al cioccolato la patente di alimento sano. Se andiamo a dare un’occhiata alle definizioni in auge nell’Unione Europea scopriamo infatti che di cacao, in quello che noi chiamiamo “cioccolato”. ce ne sta ben poco.
Le definizioni di cioccolato, cioccolato al latte e cioccolato bianco sono qui sotto riportate. Si intende per Cioccolato: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 35%.
Ovvero: posso chiamare cioccolato una cosa che contiene 35% di cacao e 65% di zucchero! Per “Cioccolato al latte” si intende invece: il prodotto ottenuto da prodotti di cacao, zuccheri e latte o prodotti a base di latte che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 25%, di sostanza secca del latte del 14%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 3,5%, di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%.
Una complicata equazione per dirci che un “cioccolato al latte” può contenere anche solo il 27,5% di cacao. Se poi vogliamo capire da cosa sia fatto il “Cioccolato comune al latte” (dove immagino che “comune” sia scritto in corpo zero) vediamo che si intende: il prodotto ottenuto da cacao, zuccheri e da latte o da prodotti a base di latte, che presenta un tenore minimo di sostanza secca totale di cacao del 20%, di sostanza secca del latte del 20%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del 5%, e di grassi totali (burro di cacao e grassi del latte) del 25%. E qui scendiamo al 22,5% di cacao.
Il “Cioccolato bianco” delizia della nostra infanzia, è poi: il prodotto ottenuto da burro di cacao, latte o prodotti a base di latte e zuccheri, e che contiene non meno del 20% di burro di cacao e del 14% di sostanza secca del latte. Qui la pasta di cacao (il cibo degli dei) è completamente assente. Vi sono solo i grassi del seme di cacao, nella misura minima del 20%. Stick per le labbra al latte zuccherato, insomma.
Se poi pensiamo ai numerosissimi prodotti industriali da colazione che riportano la scritta “al cioccolato” (quindi con quantità anche minuscole del cioccolato stesso) ci rendiamo conto di quanto le aziende possano giocare sul facile fraintendimento da parte del pubblico di queste complesse definizioni. Le meravigliose sostanze contenute nel “cibo degli dei” dunque ci vengono parecchio diluite.
Le quantità di teobromina, di feniletilamina, di anandamide, di caffeina, di epicatechine, diventano così irrisorie, e accompagnate dagli effetti non sempre graditi di latte, burro e zucchero (uno studio dell’Inran del 2003 ad esempio segnala che l’abbinamento delle catechine con latticini ne annulla completamente gli effetti positivi antiossidanti).
Sui danni derivanti dall’assunzione di zucchero (resistenza insulinica, diabete, sovrappeso, infiammazione, depressione) esiste una letteratura talmente smisurata da non dover neppure più essere citata.
Dunque come salvarci se vogliamo inserire una piccola quantità di “cibo degli dei” nella nostra alimentazione? La via c’è, e un certo numero di produttori la stanno percorrendo.
Si tratta dei cioccolati che dichiarano la percentuale di cacao presente nella tavoletta: 70%, 85%, 90% ed anche 99%. Queste tavolette contengono nella parte residua solitamente dello zucchero e della lecitina di soia (un emulsionante che non fa male) o degli aromi (peperoncino, vaniglia), ma hanno garantita una quota di cacao ben superiore a quella minima di legge (35%).
Chi lavora con dietaGIFT tende ad accettare nella propria alimentazione tavolette di cioccolato che contengono cacao a partire dall’85% in su.
In alternativa si può utilizzare il cacao amaro, mescolandolo a piacere dove desideriamo. Il cioccolato così inteso, riammesso tra i cibi degli dei, può essere consumato come completamento di un pasto nella misura di uno-due cubetti, magari abbinato con del pane integrale, o con noci e nocciole, all’incirca (per ragionare di dosaggi) come se fosse burro.
Ovvero mai mangiandosene una tavoletta intera ma usandolo come “condimento” dolce. In tal modo usufruiremo del piacevole stimolo nervoso di questo buon seme, senza subire gli effetti collaterali né di dosaggi eccessivi degli alcaloidi in esso contenuti (la cui positività è legata al basso dosaggio), né ancora di più, dei malsani compagni di viaggio (in particolare lo zucchero) che al cacao vengono abbinati nel lungo viaggio che lo porta dalle coltivazioni africane e sudamericane fin sulle nostre tavole.
Quando compriamo del “cioccolato” ricordiamoci che forse stiamo pagando al produttore un 65% di zucchero (il cui costo è vicino allo zero) a prezzo di cioccolato. Ma il prezzo più alto, purtroppo, lo paghiamo alla nostra salute, se di quello zucchero faremo un alimento abituale. Tra il “cibo degli dei” e lo zucchero colorato di marrone (o di bianco) c’è grande differenza.
Ricordiamocene al momento della scelta: un produttore che non venda un alimento scadente sarà costretto, a parità di prezzo, a farne uno migliore. Restiamo in attesa di produttori lungimiranti, che seguano i pochi che hanno tracciato la via verso prodotti più sani e nutrienti, a percentuale di cacao dichiarata.
Prima di lamentarci dei produttori, ricordiamoci che al momento della scelta, il coltello dalla parte del manico ce l’abbiamo noi. Ma finché continueremo a godere nel gonfiarci di cibo spazzatura, facendo finta di ignorare i danni che ci provoca, quello – e non altro – troveremo sugli scaffali.