In inglese Fair trade, commercio giusto. Si tratta di un movimento nordeuropeo nato negli anni sessanta il cui obbiettivo è quello di reintegrare nel commercio mondiale i Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo: utilizzare gli scambi di mercato per ridurre le disuguaglianze tra Paesi.
Il concetto è acquistare prodotti la cui provenienza sia certa, sia in termini di nazionalità e natura, sia in termini di processo produttivo: prodotti che non hanno alle spalle sfruttamento umano e ambientale. È una forma di tutela del territorio ma soprattutto dei diritti umani, del produttore come dei suoi dipendenti. L’etica del prodotto è garantita da un prezzo, predeterminato e giusto.
Valore etico primario è la sostenibilità: è sostenibile quel processo che assicura l’ottenimento di benefici presenti senza però compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
In un’ottica chiaramente anticapitalista, i criteri di determinazione di un prezzo equo considerano i costi di produzione, la giusta corrispondenza tra lavoro prestato e remunerazione, la necessità di entrate dignitose e la sostenibilità; gli stessi criteri si oppongono, invece, all’ipercompetitività e alla massimizzazione del profitto.
Ne risulta che il commercio equo si contrappone alle logiche che muovono le grandi multinazionali e alla grande distribuzione organizzata. Di fatti, caratteristica importante è la compressione della catena di distribuzione, si eliminano tutte le intermediazioni tra produttore e consumatore: ecco che nascono i Gruppi D’Acquisto.
I GAS rappresentano l’esperienza forse più diffusa di consumo critico, si tratta di una rete di persone che compera un determinato tipo di merce o più, a seconda dell’organizzazione, direttamente dal produttore, senza passare per grossisti o dettaglianti.
È chiaro che tale prezzo determinato è più elevato del prezzo di mercato e infatti il consumatore che compera tali prodotti viene definito “etico”, perché fa dell’atto di acquisto una scelta ben precisa, alla cui base non c’è il mero soddisfacimento di un bisogno.
Potrebbe risultare anacronistico parlare di commercio equo e solidale quando il cittadino italiano medio ha difficoltà a riempire il carrello della spesa, già solo con i prezzi di mercato: spendere di più, seppure per una giusta causa, al momento è un’eresia.
Ma l’homo economicus, per sua natura, è egoista e anche dietro al fair trade, infatti, c’è un ragionamento di convenienza: c’è un ritorno, seppur macroeconomico.
L’economia della crescita ci insegna che i paesi sottosviluppati o in via di sviluppo hanno un tasso di crescita più elevato dei paesi sviluppati (l’Italia nonostante le fasi di recessione è ancora uno di questi), ciò perché sono ancora lontani dal cosiddetto punto di equilibro stazionario: si intuisce che tanto più un Paese è sviluppato,quindi vicino a tale punto, tanto più il ritmo di crescita diminuisce.
Ridurre la differenza tra i tassi di crescita giova all’equilibrio mondiale; ecco perché il commercio equo e solidale, che mette in relazione i produttori del Sud del mondo con i consumatori finali del Nord, è annoverato tra gli strumenti della Growth economics.
I prodotti tipici sono il caffè, il tè, lo zucchero di canna, il cacao e prodotti artigianali; i Paesi maggiormente coinvolti nel commercio sono l’America centrale, l’America del Sud e l’Africa.
Si tratta senza dubbio di un fenomeno di nicchia la cui però diffusione è tutt’altro che scarsa: l’Europa rappresenta il più esteso mercato di prodotti CE&S (Commercio equo & solidale) e l’Italia vi contribuisce per un terzo.
Una sezione del sito italiano è dedicato alle attività campane, infatti anche nella nostra regione l’economia solidale ha affondato le sue radici: non rari sono i GAS e tra punti vendita, botteghe e locali sono molteplici le iniziative legate al commercio equo e solidale (LEGGI).
Sabato 4 ottobre, è stato inaugurato “Sottopalco”: un caffè letterario all’interno del Teatro Bellini di Napoli, il più grande del Sud Italia; oltre ai tipici spazi per convegni, mostre, laboratori, presentazioni di libri e showcase, accoglie al suo interno un equobar, offrendo esclusivamente prodotti CE&S e caffè prodotto dalle detenute del carcere di Pozzuoli.