Il carrello passava e gridava caffè… È l’evoluzione del mai dimenticato gelataio da strada, una nuova sfumatura dello street food, che si muove fra marciapiedi, piazze, giardini e quartieri popolari, e vende la più diffusa bevanda calda italiana: il caffè espresso. L’idea e il brevetto sono di due trevigiani che, da qualche mese, stanno testando il loro singolare progetto in giro per la città.
Lo chiamano «Espresso al volo», è il bar più piccolo del mondo e in concreto è un carretto che si attacca a una bicicletta: all’interno contiene la macchina da caffè in miniatura, realizzata appositamente per l’attività commerciale più economica del mondo.
«Immaginiamo un ragazzo di vent’anni che vuole mettersi in proprio, che vorrebbe emanciparsi e non dipendere più dai genitori, ma non ha soldi per iniziare perché per aprire un locale servono venti, trenta, anche centomila euro – spiegano Lorenzo Giacomin e Samuele Zavan -. Questa Coffee Bike ha un prezzo che potrebbe aggirarsi intorno ai 5-6 mila euro. Un caffè venduto a 2 euro, per duecento caffè al giorno, per un mese, fanno 12 mila euro di incassi. Non male per chi vuole iniziare, no?».
L’Espresso al volo è esteticamente e tecnicamente semplice. La bicicletta, tutti sanno come funziona. Il bar da viaggio è legato al portapacchi. La macchina da caffè è professionale, funziona con le cialde, nasce come macchina per imbarcazioni, pesa tre chili ed è collegata a una batteria ultraperformante in litio.
«Un ragazzo sale in bici e porta il caffè dove ritiene di avere più mercato, è un’occasione», dice Giacomin, la mente del progetto. Realizza questi strumenti nella sua azienda di Susegana, specializzata in micro elettrodomestici per piccoli spazi (come camper e barche, appunto).
Contatti in Silicon Valley
Il micro bar non ha spese fisse per affitto, personale, pulizie del locale, occupazione del suolo pubblico, tavoli e sedie; il peso complessivo è di 50 chili, consuma poca energia e non inquina. I due imprenditori stanno cercando investitori per portare il loro brevetto in tutta Europa, in America e in Australia.
«Abbiamo già dei contatti con la Silicon Valley, c’è grande interesse – continua Giacomin -. La burocrazia italiana è stata il primo scoglio da superare, siamo agli inizi e abbiamo trovato difficoltà immense. Le banche non danno nulla. Paradossalmente, abbiamo più riscontri negli Usa che qui a casa nostra». Lì è tutto più facile e veloce, ammettono sconsolati, basta un permesso per pedalare e portare in giro il caffè fumante.
«Qui i tempi sono più lunghi e le carte da firmare sono molte di più», ma sbrigate quelle ci sono due soli documenti necessari: la licenza dell’Usl, che autorizza la somministrazione di bevande e alimenti, e la licenza di attività ambulante del Comune. C’è anche la rivoluzione in miniatura della Coffee Bike, grande come un trolley, con due piccole ruote e una leva: ha la stessa minuscola macchina da caffè ma si trascina a mano. Il prototipo è stato realizzato da nonno Franco, 92 anni, per una vita artigiano del ferro e del legno.
La Coffee Bike è già stata sperimentata in diverse occasioni a Treviso, come eventi sportivi e manifestazioni musicali, suscitando curiosità e simpatia. Adesso è pronta a fare il salto di qualità.