MILANO – L’inserto settimanale del Corriere della Sera Corriere Economia ha pubblicato, a firma di Roberta Scagliarini, un articolo che raccoglie una serie di interviste ai protagonisti del mercato italiano con molti dati interessanti.
Vi proponiamo l’articolo che è uscito sotto il titolo “Caffè italiano. I magnifici cinque dell’espresso”. Lavazza, tranne in un passaggio, non compare nell’articolo perché al colosso torinese è dedicata l’intera parte alta della pagina (FOTO) e che riassume sostanzialmente le vicende dell’acquisizione di Carte Noire.
Che si tratti di moda o, addirittura di «evangelizzazione», l’espresso italiano sta conquistando il mondo: le esportazioni di caffè torrefatto negli ultimi 10 anni sono più che raddoppiate. «Il caffè italiano 20 anni fa era una commodity — spiega Andrea Illy, presidente e ceo del gruppo Illycaffè — solo una fonte di caffeina, oggi è una spiecialties, un rito con le sue modalità e il suo linguaggio».
Leadership
In Italia sono operativi 800 torrefattori per un valore complessivo della produzione di 3,4 miliardi di cui quasi la metà esportazioni. Siamo il terzo Paese nel mondo per l’importazione di caffè verde (dietro a Usa e Germania) e il secondo in Europa (dopo la Germania) e il quarto nel mondo (dopo Brasile, Usa, Germania) per i volumi di produzione e consumo.
Dal successo dell’espresso è derivato il fenomeno dell’italian sounding, con i produttori esteri che scelgono nomi di ispirazione italiana per vendere di più.
«La formula dell’espresso non è stata tutelata — spiega Illy — perché una parte dei colleghi non ha voluto. Questa decisione ha spianato la strada alle imitazioni. Ma l’aspetto positivo dell’italian sounding è che si è creato un mercato globale di alta qualità nel quale le nostre marche possono crescere».
I grandi nomi del caffè che sono riusciti a varcare i confini nazionali per portare i loro blend all’estero sono tutti a proprietà familiare. Ma devono competere in un’arena di giganti globali.
Il maxi gruppo Jde ha destinato 30 miliardi per consolidare il secondo, il terzo e il quarto player del settore.
Starbucks, gigante con 22 mila coffee shop in 65 Paesi e 9 miliardi di fatturato, ha appena annunciato lo sbarco in Italia.
«È un processo di concentrazione che continuerà — prevede Illy — e arriverà in Italia. Il caffè tradizionale non ha grandi prospettive di crescita rispetto al gourmet o al monoporzione e l’unico modo di creare valore è fondere più marche insieme. Siamo i più globali al mondo l’anno scorso abbiamo esportato il 62% della nostra produzione. Il processo di globalizzazione è iniziato negli anni 90, quando l’export era al 20% del fatturato e non si è mai fermato senza andare a scapito dello sviluppo sul mercato interno».
Orizzonte Usa
Illy è presente in 154 Paesi e conta di arrivare a realizzare il 20% del proprio fatturato (390 milioni) solo sul mercato Usa. Il gruppo intende crescere con tre modelli. Il business to business: cioè la fornitura ai suoi clienti, oltre 100 mila esercizi tra grandi hotel, caffetterie, bar del prodotto e del servizio (consulenza per marketing, arredo, immagine, formazione).
Il business to consumer con i 230 monomarca Espressamente Illy e Illy Shop. «È un canale strategico per il posizionamento e la crescita del brand: con i nostri store vogliamo offrire ai consumatori una full immersion nel mondo Illy, per quest’anno abbiamo previsto una quarantina di nuove aperture tra caffè e shop».
Illy punta storicamente su un unico blend di alta qualità ma per il resto innova a 360 gradi: dal modello di business, al marketing, al prodotto. «Siamo gli alfieri dell’espresso italiano — sottolinea il presidente — ma sappiamo adattarci ai gusti di altri paesi: dalla moka, dal caffè filtro, al ready to drink con Coca Cola».
Tecnologie
Tra le ultime novità c’è la moka che non brucia il caffè in collaborazione con Alessi, un tecnologia che consente di controllare in remoto le macchine da caffè, una macchina computerizzata che sceglie in automatico il mix di chicchi in base ai gusti, una open innovation platform per dialogare con i clienti.
Kimbo, secondo torrefattore in Italia dopo Lavazza, punta sull’estero per due ragioni: «L’Italia è un mercato saturo — afferma il ceo Simone Cavallo – nei canali classici, della grande distribuzione, degli alberghi e della ristorazione, le confezioni fino a 500 grammi calano del 2% l’anno e le marche sono cristallizzate. Lavazza ha il 42% e noi il 12%. C’è una migrazione dei clienti dal caffè in grani al caffè capsule. Il settore dell’hotellerie e della ristorazione è molto frammentato per ragion logistiche, nessuno ha più del 5% noi abbiamo il 2%. All’estero invece il mercato è più grande e le quote dell’espresso crescono in Usa, Cina, Russia. È un prodotto di tendenza».
Nel 2015 Kimbo ha fatturato 170 milioni di cui 27 milioni di export. «Abbiamo un trend positivo delle esportazioni del 20% . Contiamo di arrivare entro 5 anni al 50% del fatturato. In Gran Bretagna abbiamo aperta una filiale diretta e serviamo già 400 tra bar e coffee shop. Pensiamo di replicare il modello in Usa, Russia e in Cina».
Export
Espansione fuori dai confini anche per Caffè Vergnano. «Abbiamo un piano ambizioso — spiega Carolina Vergnano, titolare insieme al fratello dell’omonimo gruppo —. Crescere a doppia cifra nei ricavi e nei dipendenti che erano 121 nel 2014 e oggi sono 141. Cresciamo nelle capsule, prodotto trainante, ma anche sui grani. Investiamo nel settore della ristorazione e alberghiero e consolidiamo la presenza diretta con le caffetterie Vergnano 1882 che sono arrivate a 100, la metà all’estero. Per quest’anno abbiamo programmato nuove aperture in Arabia Saudita, Mosca, Qatar, Francia e Usa».
Il fatturato 2015 è aumentato del 5,85% a 76 milioni con un export del 20% diretto principalmente in Germania Francia, Grecia Polonia e Russia.
Vergnano nel 2011 ha lanciato nel capsule compatibile Nespresso ed entrato nelle grandi catene estere della distribuzione. Un anno fa, dopo anni di ricerca, ha messo in vendita la prima capsula compostabile, che sta andando bene in nord Europa.
«Vogliamo sempre essere i primi in qualcosa, guardare avanti è l’unico modo per avere un vantaggio competitivo rispetto ai big. Andare all’estero a dire siamo bravi non basta più, ci vuole un azienda italiana alle spalle e una tecnologia innovativa».
Quotazione in Borsa
Diverso il modello di Massimo Zanetti beverage group che è una holding fondata e presieduta da Massimo Zanetti, che racchiude una molteplicità di marchi internazionali tra i quali Segafredo e Chok Full o’Nuts.
Mentre gli altri torrefattori nazionali esportano Zanetti produce direttamente all’estero. Il gruppo che ha un fatturato di 781 milioni realizzato per la metà in Usa ha una rete di oltre 40 società operative in Europa, America, Asia e Oceania.
Si avvale di 150 distributori che garantiscono la copertura in 110 Paesi. Ha 18 stabilimenti attivi, di cui 18 impianti di torrefazione in tutto il mondo. E diverse catene di caffetterie di proprietà e in franchising.
Dopo la quotazione avvenuta lo scorso anno il gruppo ha avviato una nuova fase di crescita per linee esterne: le ultime acquisizioni riguardano la canadese Club Coffee e Boncafé leader nella commercializzazione di caffè gourmet nel Sud Est asiatico con stabilimenti in Thailandia, Singapore e Malesia. Zanetti ha anche siglato nuove partnership per lo sviluppo delle proprie caffetterie in franchising in Cina e ad Hong Kong e Corea del Sud.