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venerdì 22 Novembre 2024
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Lavazza: le strategie del ceo Baravalle per garantire l’indipendenza del gruppo

L'obiettivo è raggiungere le dimensioni giuste, ossia i 2 miliardi di fatturato. E il gruppo punta ad arrivarci entro il 2020 a parità di perimetro. Se poi ci sarà l'occasione, arriveranno anche nuove acquisizioni, come quella strategica di Carte Noire in Francia

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Un produttore che rimane indipendente e che fa da aggregatore per i marchi non allineati, una sorta di terzo polo «che resiste all’acquisizione da parte dei grandi gruppi del caffè».

E’ con questo programma che, chiuso il 2016 con l’acquisizione dei francesi di Carte Noire, Antonio Baravalle (FOTO), ceo di Lavazza, non esclude nuove acquisizioni nei prossimi anni.

E conferma l’obiettivo di arrivare a 2 miliardi di fatturato entro il 2020. Intanto si procede con l’integrazione dei francesi di Carte Noire nel gruppo Lavazza.

«Quella in Francia è stata certamente l’operazione più significativa del 2016. L’integrazione è partita in marzo e i risultati sono molto positivi. Nell’impianto di Lavérune abbiamo investito 16 milioni. Dall’esperienza dello stabilimento francese abbiamo imparato molto».

Ne seguiranno altre?

«Non abbiamo progetti nel cassetto. Ma ci guardiamo intorno. Crescere significa avere le spalle larghe, evitare di essere oggetto di acquisizione».

C’è stato questo rischio?

«In passato qualcuno dei grandi nomi si era fatto avanti. Ma gli azionisti Lavazza hanno scelto la strada più coraggiosa di proseguire in autonomia».

Puntate ai 2 miliardi di fatturato nel 2020. E’ quella la soglia per mantenere l’indipendenza?

«E’ una soglia importante e abbiamo tutte le possibilità di raggiungerla».

Con nuove acquisizioni ci arriverete prima…

«Se arriveranno lo scenario cambierà. Ma l’obiettivo resta comunque di arrivare a 2 miliardi di fatturato con l’attuale perimetro: Lavazza, Carte Noire e Merrild, l’altro importante brand inglese integrato nel 2016».

Oltre al fatturato sono decisivi gli utili. Com’è stato il 2016?

«Stiamo ancora chiudendo i bilanci, il calcolo non è semplice. Diciamo che anche nell’anno appena chiuso abbiamo fatto il nostro sano e buon utile».

Avete investito 16 milioni nella ristrutturazione dello stabilimento francese. E in Italia?

«Negli ultimi due anni abbiamo investito 40 milioni per rendere più efficiente lo stabilimento di Settimo, vicino a Torino, e negli ultimi tre anni ne abbiamo investiti 70 in quello di Gattinara, vicino a Novara».

La ristrutturazione in Italia era stata accolta da contestazioni da parte di alcuni sindacati. E’ più facile avere a che fare con i sindacati italiani o con quelli francesi?

«In linea generale si può dire che quando annunci investimenti il rapporto con i sindacati diventa molto più semplice».

Quali altri programmi avete per il 2017?

«Continueremo a investire sui nuovi prodotti. Il 2016 ha portato importanti novità. Con l’acquisizione di Carte Noire siamo entrati nel settori delle capsule compatibili Nespresso. Abbiamo lanciato il primo caffè solubile premium con il marchio Lavazza».

Perché è importante il caffè solubile?

«Perché è la chiave per portare il prodotto in mercati, come quello asiatico, che tradizionalmente sono legati al thè. L’80%dei consumatori di caffè nel mondo beve caffè solubile».

Altre direttrici di sviluppo?

«Nel 2016 abbiamo la lanciato la nostra nuova macchina Jolie per il caffè con le capsule. Nel 2017 proseguiremo il suo lancio in mercati importanti come Germania, Australia e Francia. A settembre poi trasferiremo il nostro quartier generale. Il progetto della nuova sede è stato anche l’occasione per ridisegnare un’area industriale nel cuore di Torino, un’operazione di riqualificazione urbana a poche centinaia di metri dal centro della città».

Starbucks sta superando McDonalds in termini di capitalizzazione. La notizia le fa piacere o ne teme le conseguenze?

«Ho un grande rispetto per Starbucks. Tutto ciò che serve a diffondere il consumo del caffè nel mondo non può che fare bene all’intero settore. Devo però osservare che negli ultimi anni Starbucks si presenta come una catena del food che offre molti prodotti nei suoi ristoranti tanto che la scritta ‘coffee’ è stata tolta dal logo».

Non avete paura dello sbarco di Starbucks in Italia?

«E’ stato annunciato da molto tempo. Se, come sembra, Starbucks arriverà proponendo caffetterie di qualità, non potrà che essere uno stimolo per tutti noi. Per loro non sarà facile. E’ un po’ come per un costruttore di auto provare a sfondare sul mercato tedesco».

Continuerete a investire nelle sponsorizzazioni?

«Sto partendo per l’Australia. Siamo l’unico marchio del food and beverage che è partner in tutti i quattro tornei del Grande Slam. Il tennis è un veicolo importante per farci conoscere sui mercati internazionali. Un’altra strada per irrobustirci».

Paolo Griseri

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