MILANO – Lavazza completa l’integrazione della francese Carte Noire e chiude il 2016 con il record storico di fatturato di 1,9 miliardi, in crescita del 29%. La multinazionale torinese è a ridosso della soglia critica dei 2 miliardi ma non esclude di crescere ancora per vie esterne.
«Non vogliamo fare acquisizioni per aumentare il fatturato – ha detto ieri nello stabilimento Carte Noire di Lavérune Marco Lavazza – ma puntiamo a una crescita sana ed equilibrata».
Continuiamo «a monitorare varie opportunità, anche commerciali – ha aggiunto l’ad Antonio Baravalle – ma al momento non c’è nulla di concreto».
Tutto però conferma lo sforzo della società nel prepararsi a un maggiore sviluppo internazionale, come si deduce dalla «scelta del direttore finanziario Camillo Rossotto – ha detto Baravalle – il cui ruolo è di far crescere l’azienda come governance, trovare il giusto linguaggio per parlare con altri player e reperire correttamente i capitali».
Nel 2016 l’utile operativo del gruppo Lavazza è stato di 61,7 milioni, in crescita del 34% (c’è stato un cambio dei principi contabili), mentre l’utile netto è stato di 82 milioni, superiore all’Ebit per un provento da gestione patrimoniale e comunque non confrontabile a causa della plusvalenza di 823 milioni derivante dalla cessione della partecipazione nell’americana Keurig Green Mountain (poi fagocitata da Jab per 14 miliardi di dollari).
Investimenti al top
Nonostante il miliardo investito l’anno scorso per le acquisizioni di Carte Noire e la danese Merrild, la ristrutturazione e l’ammodernamento dei siti di Settimo Torinese, Lavérune e Gattinara, Lavazza ha una disponibilità finanziaria netta di 687 milioni e la possibilità di mobilitare fino a 1,5 miliardi di risorse.
Inutile chiedere dei possibili target. Baravalle però sottolinea la crescita dei segmenti di mercato del bio e del fair trade che negli Stati Uniti valgono il 2% e il 10% in Canada.
Il balzo dei ricavi del 2016 (con 10 mesi di contributo di Carte Noire) è legato per il 4% a una crescita organica, superiore a quella media di mercato del 2%.
Cresce a ritmo sostenuto anche il peso dei mercati esteri, arrivato al 60,3% del fatturato (dal 52,8% del 2015) grazie, in particolare, al contributo della Francia, che ora conta 500 dipendenti e un’incidenza sul fatturato del 20%.
«Quest’anno – ha aggiunto il top manager – vogliamo continuare il percorso intrapreso impegnandoci per un’integrazione perfetta, per diventare uno tra i più importanti player mondiali del caffè. Prevediamo di raggiungere i 2,2 miliardi di fatturato nel 2020».
La strategia
Quale la strategia di un medio operatore in un mondo di giganti (come nel business della birra)? «Jab e Nestlé – ha risposto Baravalle – fanno un gioco completamente diverso dal nostro. Loro hanno tanti marchi del caffè ma tutti locali, noi invece contiamo su un brand globale come Lavazza e siamo seduti sul caffè premium italiano».
L’Italia rimane il principale mercato di Lavazza.
E nel 2016 le vendite complessive nella grande distribuzione sono scivolate (per il terzo anno), secondo Iri, dell’1% a volume e dello 0,7% a valore: in calo tutti i segmenti eccetto le capsule che balzano del 17,5% a 231 milioni.
Lavazza sottolinea di aver mantenuto la leadership e aumentato la quota di mercato, a valore, al 41%.
Emanuele Scarci