MILANO – La presentazione della collezione di caffè 1895 Coffee Designers by Lavazza ha sollecitato tante domande, anche tecniche, che il giorno dell’esibizione alla stampa è stato possibile affrontare soltanto in modo parziale. Per questo abbiamo chiesto di poter tornare su un tema che è destinato a diventare centrale nello sviluppo della cultura del caffè in Italia, non soltanto dello specialty.
Ed è interessante notare che su questo tema, sui caffè al top, stiamo parlando anche del numero 1 globale: Lavazza. La risposta alla nostra domanda è stata l’opportunità di confrontarci con Cristiano Portis, Arabica Q grader, addetto alla selezione delle origini, fa parte del team di assaggiatori, e responsabile sviluppo. Che ha risposto a tutte le curiosità in modo conciso e chiaro nonostante abbia affrontato soprattutto temi tecnici.
Come è diventato l’assaggiatore e colui che sceglie le origini per 1895 Coffee Designers by Lavazza?
“Faccio parte di un team di assaggiatori di caffè, con molti anni di esperienza.
Molti anni di viaggi in origine per la scelta dei caffè e in particolare, per quanto mi riguarda, la partecipazione a numerosi progetti in altri paesi, Sud America, India, estremo oriente.
In particolare ho iniziato un progetto, ormai oltre 5 anni fa, in Australia, dove ho creato una serie di blend per il food service locale.
Essendo un progetto pilota, ho seguito tutti gli aspetti dagli acquisti del caffè verde, alla qualità, la creazione dei blend, le ricette di tostatura fino al contatto con il cliente finale, passando per il packaging.
Essendo un mercato relativamente piccolo, ho avuto la possibilità di accrescere la mia esperienza in tutti gli ambiti importanti della creazione di blend di alta qualità e la loro trasformazione.”
Per lei che sceglie, come deve essere un caffè buono?
“Ci sono tanti caffè buoni, ognuno ha i suoi gusti ovviamente. In generale però un caffè buono deve essere senza difetti. Può piacermi un caffè forte, con molta Robusta, tostato molto scuro e via elencando. Tutte caratteristiche che nel mondo specialty sarebbero poco accettate, ma non deve avere difetti. Deve essere trattato con passione, che è sempre la chiave per risultati egregi. Mi piace la metafora della staffetta di corsa, ogni atleta deve percorrere i suoi 100 metri, il farmer, l’assaggiatore, il roaster e il barista, ognuno deve fare la sua parte al meglio, se qualcuno nella staffetta, non dà il meglio, il risultato non sarà buono e il lavoro di tutti sarà sprecato.”
Che cos’è per lei un caffè specialty?
“Un caffè specialty deve rispondere ai criteri della Sca (Specialty coffee association) e del Coffee Quality Institute. Zero primary defects e un punteggio superiore agli 80 punti. Ma, aldilà della definizione ufficiale, un caffè specialty è prima di tutto un caffè che è stato coltivato, raccolto, selezionato, con cura. Che racconta in tazza il suo territorio di provenienza, che ha una forte personalità. Naturalmente, ritorno sul discorso difetti, punteggi a parte, non ne deve avere. Dopotutto è così per qualsiasi prodotto di alta qualità, naturale o manufatto, non deve avere difetti.”
Ci racconta com’è stato il processo di selezione della prima linea di caffè speciali Lavazza 1895: le 3 monorigini, i 3 blend e il microlotto? Cosa l’ha guidata nella scelta?
“Ho assaggiato oltre 250 offerte per arrivare ai caffè selezionati per questa prima stagione di 1895.
Volevo cominciare con il Caffè dello Yemen, per rendere omaggio al luogo dove è cominciato tutto, le prime piantagioni di caffè.
Ho incontrato Qima coffee, rappresentate di centinaia di piccoli produttori yemeniti, a Berlino durante il WOC 2019, dove ho potuto assaggiare dei caffè eccezionali, e così è nata Opera Prima.
Il desiderio, per le altre single origins, di offrire caffè con note aromatiche spiccate e comprensibili anche ad un pubblico di neofiti. Cercando di offrire varietals, territori e processi diversi. Un lavoro che sta proseguendo anche adesso per la seconda stagione, quasi completa, mentre sto rispondendo a queste domande.
Per i blends ho seguito gli stessi criteri, con un attenzione particolare a raccontare, non soltanto la storia dei caffè che le compongono, ma una parte importante della storia di Lavazza. Cioè l’esperienza, la capacità di miscelare caffè diversi fra di loro, per ottenere un risultato in tazza in grado di raccontare le qualità dei singoli ma risultando armonico nel complesso.
Ogni nostro caffè, single o blend porta la firma di Lavazza. Sono una nostra interpretazione dei caffè di alta qualità.”
Lei è uno dei pochi Q grader italiani, una specializzazione e un esame difficilissimi. Perché ha scelto questo percorso formativo?
“È stata una sfida personale, per mettermi in gioco, per confrontarmi con altre realtà e per continuare il percorso di apprendimento, che non deve finire mai.
Sono partito da una posizione vantaggiosa, tanti anni di assaggi e attenzione alla qualità in Lavazza.
L’anno scorso ho rinnovato la mia licenza per altri tre anni, superando gli esami di re-calibration.
Lo trovo un percorso molto utile per avere sempre di più un linguaggio comune fra tutti gli attori che compongono questo mondo meraviglioso del caffè, dal farmer al barista.”
Quale caffè secondo lei può raggiungere più facilmente il palato di un italiano legato all’espresso?
“In Italia, i caffè Brasiliani, Arabica naturali, sono da sempre l’ingrediente principe delle miscele al bar. Gli aromi di frutta a guscio, di cioccolato e cacao sono molto apprezzati, perciò il nostro Cafunè, 100% Brasile, potrebbe essere un favorito.
Nei blend, il Cocoa Rebel, con il Robusta lavato di Giava potrebbe essere l’ideale per un ristretto o per super cappuccini all’Italiana.
In generale, tutti i caffè di Coffee Designers 1895 by Lavazza sono bilanciati, molto dolci e con un acidità fine e mai aggressiva.
Non voglio per forza raccontare che devono piacere tutti, ma dai primi riscontri ci siamo resi conto che soprattutto i blend sono apprezzati quasi in egual misura.
Quale è il suo caffè preferito?
Sono affezionato ad Opera Prima in particolare. Poi, siccome bevo spesso caffè filtro, il Kilele.
Era il momento finalmente, che un grande marchio approdasse ad una collezione completa di specialty?
“Sì, credo fosse necessario. In Italia molti piccoli artigiani stavano lavorando a colmare un gap che si era creato rispetto a molti altri paesi, nel mondo del caffè.
Lavazza stava seguendo già da tempo il fenomeno e ha deciso di interpretarlo mettendo tutta la sua esperienza.
L’attenzione a questo mondo è importantissima perché da maggiore dignità ad un prodotto e a tutto il settore, a cominciare dalle comunità nei paesi di origine che vivono sulla coltivazione del caffè.”
Quando si parla, si discute di un caffè eccezionale, si sta parlando di famiglie, comunità.
Che cosa vede nel futuro di Lavazza in termini di offerta?
Proseguiremo, ogni 4 mesi circa, a proporre caffè nuovi, per raccontare, in tazza, processi innovativi, comunità, varietà rare.
Racconteremo nuove storie, passando attraverso i sensi e la voglia di ascoltare.