domenica 22 Dicembre 2024
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L’ANALISI – Perché in Gran Bretagna le caffetterie stanno prendendo il posto dei pub? La risposta in un articolo del Telegraph

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MILANO – La grande stampa inglese torna a occuparsi del fenomeno coffee shop. A trattare l’argomento è questa volta The Telegraph, il quotidiano britannico a maggiore diffusione, perlomeno tra i quality newspapers. Lo spunto è offerto dai risultati della trimestrale di Whitbread, dei quali abbiamo riferito nel numero del 10 settembre. In un articolo intitolato “Perché in Gran Bretagna le caffetterie stanno prendendo il posto dei pub?”, la giornalista Nathalie Thomas prende le mosse dai più recenti successi di Costa, per allargare poi lo spettro dell’analisi all’intero universo dei coffee shop. Un comparto – quello delle caffetterie a marchio – che non conosce crisi e che è stato capace di mantenere ritmi di crescita sostenuti anche nei momenti più bui della recessione. Le vendite hanno segnato un +6,4% l’anno passato, con 16.500 locali operanti a fine 2013. Costa ha al suo attivo 76 nuove aperture in patria, per un totale di 1.831 caffetterie (2.941 in tutto il mondo), che fanno dell’insegna creata 33 anni fa da Sergio e Bruno Costa il leader incontrastato in terra britannica, con una quota di mercato del 46,5%, contro il 27% di Starbucks e il 13,8% di Caffè Nero. Whitbread è convinta che la cavalcata trionfale di Costa proseguirà anche negli anni a venire e punta a tagliare il traguardo dei 2.200 locali entro il 2018. Cosa spiega il successo senza precedenti di espresso, latte e cappuccini in quella che è sempre stata considerata la patria del tè per eccellenza? In realtà i consumi pro capite rimangono fermi a 2,8 kg per abitante. Ben al di sotto dei principali paesi europei – sostiene il Telegraph – che pubblica, a tale proposito, un grafico a istogramma con i consumi nazionali, dove peraltro figura persino la Polonia, ma non l’Italia … È cambiato soprattutto il modo in cui il caffè viene consumato – spiega Vicki Stern, analista di Barclays. Chi una volta beveva soprattutto caffè solubile, a casa o al lavoro, oggi preferisce l’espresso del bar. Più complessa e articolata la spiegazione fornita dal ceo di Whitbread Andy Harrison, che chiama in causa indirettamente la ben nota nozione di terzo luogo. La caffetteria – secondo Harrison – ha riempito un vuoto nella società inglese. Ha fornito cioè un luogo di incontro e di aggregazione aperto durante il giorno e adatto anche al target femminile e familiare. A differenza del pub, tradizionalmente rivolto a una clientela maschile e frequentato principalmente la sera. Un ulteriore fattore – sostiene ancora Harrison – è rappresentato dal cambio di abitudini indotto dall’e-commerce. La gente compra di più in internet e ha meno bisogno di andare per negozi a caccia di affari. Senza l’ossessione dello shopping nei negozi fisici, il sabato c’è più tempo da dedicare agli amici e alla socialità. E il coffee shop è il luogo d’incontro ideale. Tesi sociologiche a parte, rimane un dato di fondo. Mentre il numero di caffetterie è in costante aumento, quello dei pub è in forte calo. Ogni settimana, una trentina di locali chiude i battenti, nonostante gli sforzi degli esercenti, grandi e piccoli, che cercano di rinnovarsi per riconquistare le quote di clientela andate perdute. Migliorando l’offerta gastronomica. Estendendo gli orari di apertura. E – perché no – servendo anche il caffè. Da J D Wetherspoon, ad esempio, si può degustare l’espresso ¡Tierra! di Lavazza. Un tempo nessuno avrebbe nemmeno osato ordinare un caffè al pub. In questi locali, tipici della tradizione inglese, si sono sempre servite soprattutto bevande alcoliche e, in particolare la birra. Oltretutto, molte catene di pub sono controllate dai produttori di birra. La stessa Whitbread nacque storicamente come un birrificio ed è stata, sino a pochi decenni or sono (con Whitbread Beer Company), uno dei più importanti produttori del Regno Unito (l’intero ramo birra è stato ceduto a InBev nel 2001) Anche il mercato dei coffee shop, a un certo punto, diverrà saturo. Ma quel giorno è ancora lontano. Anche perché “nel Regno Unito esistono tuttora migliaia e migliaia di località dove non è ancora possibile bere un caffè decente” afferma Jeffrey Young, direttore esecutivo di Allegra Stategies, un noto analista di mercato specializzato. E accanto alle catene più note spuntano ora i third wave coffee roasters, la nuova generazione di torrefattori artigianali, che propongono prodotti di alta qualità e di nicchia, con caratteristiche uniche e speciali, prestando un’attenzione particolare alla storia del prodotto e ai legami che uniscono gli attori della sua lunga filiera. Un fenomeno – quello della Third Wave of Coffee– che sta investendo ora anche l’Italia suscitando grande interesse ed entusiasmo. Secondo alcuni si tratta di una vera rivoluzione culturale, in atto su scala mondiale. In Uk – conclude il Telegraph – il lavoro dei torrefattori artigianali può essere paragonato a quello dei produttori artigianali di birra, che allo stesso modo cercano di ravvivare l’interesse per questa bevanda proponendola in nuove dimensioni di consumo. Brewpub e microbirrifici stanno peraltro prendendo piede anche in Italia. Quella dei coffee shop, insomma, è tutto fuorché una moda passeggera. E il caffè – osserva Jeffrey Young in conclusione dell’articolo – fa parte ormai “del tessuto della società britannica”.

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