MILANO – Comprare e vendere caffè sta diventando un business sempre più rischioso e i commercianti sono alla ricerca di metodi alternativi per fare hedging sui prezzi e ovviare alla volatilità dei mercati. Il problema è evidenziato anche nel report Ico per il mese di dicembre, che abbiamo commentato nel numero di ieri, martedì 7 gennaio.
Il rapporto dell’organizzazione londinese prende le mosse dai problemi del traffico attraverso il canale di Suez, che hanno reso il trasporto marittimo, dai paesi esportatori asiatici ai paesi importatori europei, più lungo e costoso.
Ciò ha fatto sì che la quota totale del caffè non ancora importato sia lievitata a 4-5 milioni di sacchi determinando una relativa scarsità di offerta nei mercati di destinazione del vecchio continente.
“L’effetto combinato degli elevati tassi di interesse, dei tempi di transito più lunghi, dei ritardi nei porti di origine, del basso livello delle scorte certificate e dei prezzi elevati rende sempre più difficile finanziare il caffè fisico” scrive il report, che cita anche una recente analisi di Bloomberg, nella quale si parla appunto dell’affermarsi di metodi di copertura alternativi a quelli tradizionali, che risultano sempre più proibitivi, soprattutto per i competitor meno attrezzati.
Quando i prezzi salgono troppo o troppo rapidamente, le borse o i broker che gestiscono le posizioni di un trader richiedono maggiori margini di mantenimento, per coprire una posizione di vendita sui futures diventata non profittevole.
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