MILANO – Tazzona contro hamburger. Finora l’ha spuntata la carne pressata cotta sulla piastra, ma entro il 2018 gli analisti della City prevedono il sorpasso del caffè.
Almeno in termini di capitalizzazione di Borsa, che poi è il valore delle società. La guerra è appena iniziata e vede contrapposte due icone dell’American style: Mc Donald’ s e Starbucks. Californiana la prima, di Seattle la seconda, pronta a conquistare il primo posto.
Oggi Starbucks capitalizza 86 miliardi di dollari, Mc Donald’ s è scesa da 116 a 97,5 negli ultimi otto mesi.
Non è difficile dunque ipotizzare che, a trend costante, lo scettro di catena della ristorazione più ricca del mondo si trasferirà nel 2018 dai signori della carne agli spacciatori di beveroni.
Quelli che dappertutto, tranne in Italia, si chiamano incredibilmente caffè.
Che il sorpasso stia per avvenire lo conferma indirettamente una notizia circolata ieri a Wall Street: Mc Donald’ s starebbe per raccogliere la sfida, pronta a scommettere tutto sul suo McCafes, già oggi disponibile a un dollaro in tutti i punti vendita.
La mossa rivela due cose. Innanzitutto che i signori della carne sentono il fiato sul collo e non sottovalutano affatto la rimonta dei bicchieroni di carta.
In secondo luogo che Starbucks ha già imposto il suo gioco costringendo una catena che da settant’anni ha fatto fortuna scottando carne bovina (e irrorandola di ketchup) a difendersi sul terreno a lei assai meno congeniale di un filtrato di chicchi tostati e sminuzzati.
La sfida, in realtà, va avanti da tempo, come rivelava il Financial Times. E’ una sfida giocata sul continuo tentativo dei signori della carne pressata di adeguarsi a tempi a loro, almeno in teoria, poco favorevoli.
Costretti a intercettare i gusti di un pubblico sempre più diffidente verso cibi che non siano sani, poco calorici, di provenienza certa.
Un notevole compromesso con il dna di un gruppo nato nella gaudente California degli anni Quaranta dal chiosco di hot dog dei fratelli Richard e Maurice McDonald.
Ben più semplice, al giorno d’ oggi, è il compito di Howard Schultz, già Ceo di Starbucks, alla guida di una società nata 45 anni fa negli ambienti intellettuali di Seattle dall’idea di un professore di inglese, di un suo collega di storia e di uno scrittore.
Tutti affascinati dalla figura del primo ufficiale sulla nave del capitano Achab, quella che dà la caccia a Moby Dick. Di quell’origine intellettuale rimane la figura della sirena nello stemma della società.
Il resto è opera di Schultz: sua la decisione di rilevare la torrefazione di Seattle, sua l’idea di realizzare una rete di caffetterie che si ispirassero ai bar italiani.
Sua, in sostanza la scelta vincente di trasformare un negozio di caffè in un punto di incontro per milioni di persone. In questo le filosofie originarie di Mc Donald’ s e Starbucks sono opposte.
L’hamburgeria è il classico luogo dove si sta il meno possibile, il simbolo del fast food appunto.
Nelle caffetterie di Schultz si va per sorseggiare il beverone ma anche per studiare e per incontrare gli amici.
Si resta dunque tutto il tempo possibile per sfruttare il wi-fi gratuito. Uno dei posti più slow che ci siano.
Eppure anche per Shultz non è stato facile.
E’ tornato alla guida di Starbucks nel 2008 otto anni dopo aver lasciato la società ed oggi ha mollato di nuovo la sedia operativa. La prima volta lo ha fatto perché, dopo il successo iniziale, le cose non stavano andando nel verso giusto e c’ era insomma bisogno di un buon comandante alla guida della baleniera che oggi dà la caccia a Mc Donald’ s.
Secondo Mark Kalinowsky, analista di Nomura citato dal Ft, le possibilità del capitano Schultz di arpionare la società degli hamburger sono molto alte: E’ solo una questione di tempo ma il sorpasso avverrà, anche se è improbabile che accada già nel 2017.
La previsione si basa sui dati più recenti: la crescita della catena del caffè è stata registrata in 26 degli ultimi 28 esercizi fiscali, una costante.
A Steve Easterbrook, il manager che dal 2015 è sulla tolda di comando di McDonald’ s, il compito arduo di chi deve sfuggire all’ attacco.
Lo sta facendo variando i menù, riducendo le dimensioni dei panini per renderli più in linea con i dettami delle diete moderne.
Addirittura inventando un menù vegetariano per poter vendere in India, operazione non semplice per una catena di ristoranti di carne bovina.
E la Borsa? Prevede, quasi all’ unanimità, la vittoria incipiente degli intellettuali di Seattle contro i friggitori di mucche. Due modelli di business e due culture allo scontro finale.
Paolo Griseri