di Carmelo Cataldi*
A molti sarà capitato, andando a trovare un amico, titolare di un esercizio pubblico, di vedersi offrire un caffè, un gelato, una pizza o della frutta, a titolo gratuito e come segno di amicizia, ma a molti sarà venuto in mente a quali obbli
hi fiscali è soggetto l’amico ed a quali penalità va incontro in caso di contravvenzione alle disposizioni in materia di documentazione fiscale?
Potrà sembrare assurdo, ma la legislazione italiana ha regolato, sul piano della fiscalità, anche situazioni che al cittadino comune possono sembrare paradossali, quali appunto la cessione gratuita di un bene di modico valore e di basso o nullo contenuto fiscale.
Per comprendere la logica giuridica, posta alla base della normativa di settore, occorre innanzi tutto sapere che l’art. 1 della Legge n. 18 del 26 gennaio 1983 prevede che gli esercenti di locali aperti al pubblico ed anche di “spacci interni”, per la cessione di beni, per i quali non è obbligatoria l’emissione della fattura, sono tenuti a rilasciare apposito scontrino fiscale, emesso attraverso un registratore di cassa, un terminale elettronico o bilance elettroniche munite di stampante.
Allo stesso obbligo è tenuto l’esercente che somministra in pubblici esercizi alimenti e bevande per una somministrazione non soggetta all’obbligo della ricevuta fiscale; è il classico esempio del ristoratore che intende offrire una cena o una pizza all’amico.
La successiva Legge 30 dicembre 1991, n. 413 “Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attivita’ di accertamento….”, prevede altresì, all’art. 12, che i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi di cui agli artt. 2 e 3 del DPR del 26 ottobre 1972 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) per le quali non è prevista l’obbligatorietà dell’emissione della fattura, se non a richiesta del cliente, devono essere certificati mediante il rilascio della ricevuta fiscale di cui all’art. 8 della Legge 10 maggio 1976, n. 249, ovvero dello scontrino fiscale.
Pertanto se ne deduce che tutta questa normativa alla fine è legata a doppio nodo alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto e questo sembrerebbe suonare veramente fuori luogo se si pensa che la cessione di bene o la somministrazione avviene, nel caso di specie, a titolo prettamente gratuito, se non fosse che proprio la legge sull’istituzione dell’imposta sul valor aggiunto, nello specificare, in forma generale e onnicomprensiva, che l’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessione di beni e sulle prestazioni di servizi effettuate nel territorio Stato nell’esercizio d’imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sull’importazioni da chiunque effettuate, aggiunge all’articolo 2 c. 4°, oltre a specificare al comma 1° che costituiscono cessione di beni gli atti a titolo oneroso che importano un trasferimento della proprietà oppure costituiscono o trasferiscono diritti reali di godimento su beni di ogni genere, che costituiscono cessione di bene anche quelle gratuite, ad esclusione di quelle la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa, se il costo unitario non sia superiore alle 50.000 lire (adesso 25,82 Euro) e quelli per i quali non sia stata operata, all’atto dell’acquisto, o dell’importazione, la detrazione dell’imposta a norma dell’art. 19, anche se per effetto dell’opzione di cui all’art. 36 bis.
In buona sostanza si deduce, quindi, che non costituisce cessione dei beni quella a titolo gratuito, la cui produzione o il commercio non rientra nell’attività proprio d’impresa, a condizione che il costo unitario non sia superiore a Euro 25,82 (le vecchie 50.000 lire) e per cui non sia stato operata la detrazione dell’imposta all’atto dell’acquisto.
Un esempio classico, che dà un esatto contesto esplicativo, è quello del caffè e del bicchiere d’acqua al bar ceduto gratuitamente.
Mentre il caffè presuppone un costo alla fonte, con imposta detratta ai sensi dell’art. 19 e si configura come un bene la cui cessione è soggetta a documentazione fiscale (leggasi scontrino) il bicchiere dell’acqua, non quella minerale da bottiglia, ma quella da rubinetto (seppur filtrata attraverso meccanismi di arricchimento e depurazione) che non presuppone alla fonte un’imposta sul valore aggiunto, ad eccezione che questo venga fatto poi autonomamente pagare, non è soggetto all’obbligatorietà dell’emissione di documentazione fiscale.
Pertanto da tutto ciò discende che la normativa odierna prevede l’obbligatorietà dell’emissione di uno scontrino anche di fronte a cessione di beni o prestazioni omaggio, con netto dello stesso pari a zero poiché appunto rivestendo il carattere della gratuità non vi è rivalsa d’I.V.A., con esclusione di quelle ipotesi tassativamente previste e anzi descritte.
Spiacevoli sono le conseguenze per quell’impresario che non attenendosi alle regole appena chiarite, omette di non effettuare, seppur a importo zero, lo scontrino per la cessione di un bene a titolo gratuito, secondo quando prima chiarito, perché
a normativa prevede, ai sensi dell’art. 6 c. 3° del Dlgs n. 471 del 18.12.1997 una sanzione pecuniaria pari a 516,00 Euro e una sanzione accessoria della sospensione della licenza o dell’autorizzazione
all’esercizio dell’attività da un minimo di 3 ad un massimo di 30 gg. laddove siano state rilevate 4 distinte violazioni nell’arco di 5 anni (così modificato l’art. 12 c. 2° del Dlgs 471/97 dall’art. 1 c. 269° della L. 244 del 24.12.2007 – Legge Finanziaria 2008).
La stessa legge prevede altresì anche la possibilità di oblare per un quarto l’importo della sanzione base con il pagamento della somma di 172,00 Euro, estinguendo il procedimento entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notifica dell’infrazione.
Meglio va al cliente/amico che non risponde di nulla, tenendo però presente che fino al al 2003, ai sensi dell’art. 11 c. 6° del Dlgs 471/97, abrogato dall’art. 33 c. 10° del D. L. 269 del 30.09.2003, scattava, anche per esso, la sanzione amministrativa da lire centomila a lire duemilioni.
*Dr. Carmelo Cataldi
Consigliere Giuridico in D.I.U. e D.O.M.
Fonte: studio Cataldi