di Gabriele Rosso*
La nuova edizione italiana della “Guida Michelin” è stata presentata il 10 dicembre: il suo nome è familiare e spesso citato nelle conversazioni che riguardano gastronomia e ristoranti, ma è soprattutto il punto di riferimento principale per chi frequenta il mondo dell’alta cucina o si interessa di gastronomia.
Ad attirare l’attenzione mediatica e di pubblico – ogni competizione è attraente – sono di solito le cosiddette stelle, i simboli con cui vengono premiati i migliori ristoranti recensiti, che possono essere una, due o tre, in ordine crescente di prestigio.
In realtà, però, le stelle sono solo la cosiddetta punta-dell’iceberg: la versione italiana della guida recensisce circa 2.700 ristoranti e 3.800 alberghi e agriturismi, mentre i ristoranti premiati dell’edizione 2015 erano 332, poco più del 12% del totale (e quelli con 3 stelle, che erano 8, rappresentano meno dello 0,3% del totale).
Ricevere una stella Michelin, o meglio ancora riceverne due o tre, significa far parte dell’élite dell’alta ristorazione. E, di conseguenza, significa avere un ritorno di visibilità che ha anche importanti implicazioni economiche.
Alcuni studiosi hanno calcolato che perdere una stella può voler dire veder svanire fino al 50% degli introiti. I ristoranti stellati inoltre hanno una clientela disposta a spendere tanto e che, proprio per questo, è anche molto esigente.
Per un ristorante puntare a raggiungere la prima o la seconda stella o, addirittura, aspirare alla terza, vuol dire quindi non solo avere una clientela ricca, ma anche fare importanti investimenti in attrezzature e cura dei locali, e sostenere costi di personale molto elevati.
Al punto che molti dei ristoranti di fascia alta di per sé non sono neanche imprese remunerative, e i cuochi-proprietari sono costretti a diversificare le attività per poterci guadagnare, creando altri locali rivolti a un pubblico più ampio, facendo consulenze o sviluppando linee di prodotti gastronomici venduti nella grande distribuzione.
I riconoscimenti della guida Michelin spostano comunque molti soldi, e anche per questo hanno un potere rilevante.
Se è vero che si tratta di una posizione condivisa in parte con altre guide concorrenti (in Italia principalmente Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso, I Ristoranti d’Italia de L’Espresso, Alberghi e Ristoranti d’Italia del Touring Club e Osterie d’Italia di Slow Food), tuttavia “la rossa”, così chiamata a causa del colore della copertina, rimane ancora quella che gode di maggiore considerazione tra cuochi, ristoratori, critici e semplici appassionati.
Il motivo è che la sua lunga storia e la sua fortuna editoriale – la prima edizione risale al 1900 – l’hanno fatta diventare molto presto un simbolo riconosciuto anche da coloro che non frequentano affatto i ristoranti di lusso, al punto che ormai espressioni come “chef stellato” e “ristorante stellato” sono diventate espressioni conosciute da tutti.
Il potere di decidere le fortune o le sfortune dei ristoranti di alta cucina ha sempre creato forti pressioni sui cuochi e i ristoratori. Il caso più celebre è quello che riguardò Bernard Loiseau, cuoco francese tra i più famosi e apprezzati, proprietario di La Côte d’Or in Borgogna e di altri tre ristoranti, autore di libri di cucina e di prodotti gastronomici di larga distribuzione, che nel 2003 si suicidò pochi giorni dopo aver appreso che il suo locale avrebbe potuto perdere la terza stella, che deteneva fin dal 1991 (cosa che poi non avvenne: La Côte d’Or ha tre stelle Michelin tutt’ora). Loiseau soffriva di depressione e si trovava in una situazione di forte stress: un’altra guida, la Gault et Millau, gli aveva appena tolto due punti (da 19 a 17 su un massimo di 20), ma sono state numerose le ricostruzioni della vicenda che hanno suggerito un legame diretto tra la sua morte e le voci sulla perdita della stella Michelin, come quella del settimanale francese L’Express, che è tornato sulla questione 10 anni dopo.
Oggi l’impressione di molti esperti è che il potere delle guide e, di conseguenza, quello della guida ritenuta più autorevole, sia in declino. Le guide cartacee vendono meno copie di un tempo (in Francia la tiratura della Michelin è passata da circa mezzo milione di copie dei primi anni 2000 alle poco più di 100.000 di oggi), a fronte di una crescita del web, a cominciare da TripAdvisor, Yelp e altri siti e applicazioni simili.
Se si parla di alta ristorazione, a mettere apparentemente in discussione il ruolo dominante della Michelin è stata soprattutto la classifica dei World’s 50 Best Restaurants. Nata nel 2002 su iniziativa della rivista inglese Restaurant, questa classifica oggi è molto seguita e, in un certo senso, ha costretto la Michelin a cambiare e modernizzarsi.
La World’s 50 Best Restaurants fa quello che non faceva la Michelin: giudica e vota i ristoranti di ogni parte del mondo, Asia, Sud America, Oceania, Nord ed Est Europa e Africa comprese.
Al contrario la guida Michelin per molti anni si è limitata a essere presente soltanto in Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Irlanda, Spagna e Portogallo, Olanda, Belgio e Lussemburgo, Svizzera.
La classifica World’s 50 Best Restaurants ha quindi contribuito a riconoscere e valorizzare l’alta cucina sudamericana, quella scandinava, quella asiatica, e in generale ha fatto conoscere cuochi e ristoranti di ogni parte del mondo, in un tempo in cui l’attenzione alle gastronomie di altri paesi cresceva.
In risposta la Michelin ha esteso i suoi ambiti: dal 2005 recensisce i ristoranti di New York e San Francisco, dal 2008 quelli di Tokyo, dal 2012 quelli di Hong Kong, dal 2015 quelli di Chicago; inoltre dal 2014 c’è un’edizione Main Cities of Europe che include anche città dell’Europa dell’Est, dal 2015 c’è un’edizione New Nordic Cities che si occupa dei paesi scandinavi, e si parla di un possibile futuro arrivo anche in Sud America.
Nonostante questo, il fatto stesso che la classifica dei World’s 50 Best Restaurants si sia conquistata grande credito tra i critici e gli appassionati di alta cucina, e che quindi abbia guadagnato popolarità anche a scapito delle guide (Michelin compresa), potrebbe avere delle conseguenze di non poco conto.
Ancora non è chiaro se le stelle stiano perdendo terreno in termini di valore economico e di capacità di spostare capitali, ma ciò che è certo è che la World’s 50 Best Restaurants sta concentrando su un’élite ancora più ristretta di ristoranti l’attenzione del pubblico e della clientela: basti pensare, ad esempio, che dopo aver vinto l’edizione 2010 al danese Noma arrivarono in poche ore circa 100.000 richieste di prenotazione online, secondo il suo chef Renè Redzepi.
In questo contesto la Michelin si sta muovendo. E anche se nel mondo della critica gastronomica e degli appassonati di alta cucina la sua voce potrebbe apparire in parte ridimensionata, ci sono pochi dubbi che il valore simbolico dei suoi premi e quindi una parte del loro potere rimarranno rilevanti ancora a lungo. Per ora tutti (o quasi) sanno cosa sono le stelle Michelin.
E poi in molto Paesi, Italia compresa, c’è il sito viaMichelin che para il lato web alla rossa in modo completo, aggiornato e interattivo.