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La contrattualistica come strumento per rafforzare il proprio business

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MILANO – In un mercato saturo come quello odierno, le imprese sono sempre più alla ricerca di strumenti efficaci. Soprattutto per ampliare il raggio d’azione dei propri titoli di proprietà industriale. E incrementare così la reputazione dell’impresa stessa.

A tal fine, i titolari di diritti di proprietà industriale si avvalgono di diversi accordi. Facendo della contrattualistica un elemento fondamentale per ottimizzare gli sforzi economici dell’impresa.

Tali accordi possono essere ricondotti sostanzialmente alle seguenti categorie:

  • Licenza di brevetto o di marchio. Cioè l’utilizzo di un brevetto o di un marchio da parte di un’impresa differente da quella del titolare. Questo per un periodo di tempo predeterminato. Nell’ambito del contratto di licenza sono riconducibili anche gli accordi di:

– Merchandising. Cioè utilizzo di un marchio da parte di un’impresa diversa rispetto a quella del titolare. Per un diverso prodotto e settore.

– Franchising: utilizzo di un titolo di proprietà industriale da parte di un soggetto diverso dal titolare. E del know-how per un diverso territorio.

  • Co-branding: utilizzo congiunto di due diversi marchi per prodotti differenti.
  • Contratto di distribuzione commerciale: contratto tra un produttore e un distributore. Per la commercializzazione di prodotti o servizi in un territorio determinato.

Nel dettaglio, il contratto di licenza di un brevetto prevede che lo stesso venga ceduto dal proprietario (licenziante) ad un altro soggetto (licenziatario). Quest’ultimo potrà utilizzare l’invenzione, il modello di utilità o la nuova varietà vegetale brevettata secondo i termini e l’ambito concordati reciprocamente.

La concessione in licenza di un brevetto (la quale può essere esclusiva nei confronti di un licenziatario, unica, ossia sfruttata sia dal licenziante che dal licenziatario, oppure non esclusiva nei confronti di più licenziatari) può prevedere delle retribuzioni in favore del titolare del brevetto, attuando in tal modo una strategia finanziaria molto valida, in particolare qualora il proprietario del brevetto non sia in condizioni economiche tali da poter produrre del tutto o in sufficienti quantità l’invenzione al fine di soddisfare una certa esigenza di mercato o coprire una determinata area geografica.

Il contratto di licenza di un marchio regola invece l’utilizzo del marchio (registrato o non registrato) tra il suo titolare ed il soggetto che desidera farne uso nel mercato.

Il marchio può essere oggetto di licenza (anche non esclusiva) per la totalità o per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato e per la totalità o per parte del territorio dello Stato.

Come sopra accennato, la licenza del marchio riveste un’importanza fondamentale in alcuni contratti tipici, ad esempio negli accordi di merchandisinge difranchising. Per tale motivo, al momento della conclusione di tali tipologie di contratti, è molto importante valutare attentamente le clausole che disciplinano l’uso del marchio.

L’accordo di merchandising, in particolare, consente al titolare di un marchio che opera in un determinato settore di concedere in licenza ad un altro soggetto il diritto di apporre il marchio sui propri prodotti o servizi generalmente attinenti ad un ambito merceologico diverso da quello del titolare. Attraverso questa strategia commerciale il titolare potrà in tal modo sfruttare l’effetto trainante del proprio marchio (specialmente se rinomato) ed espanderne fortemente le potenzialità oltre il settore merceologico di riferimento.

L’accordo di franchising

L’accordo di franchising, invece, consente ad un’impresa di concedere ad un soggetto (che viene definito “affiliato” o “franchisee”) la disponibilità di una serie di diritti di proprietà industriale (quali marchi, denominazioni commerciali, brevetti, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how, consulenza tecnica o commerciale), inserendolo in una rete di soggetti affiliati sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati prodotti e di rendere determinati servizi in modo uniforme e standardizzato.

Si ha invece un contratto di co-branding quando un’impresa associa al proprio marchio quello di un’altra impresa al fine di accrescere la forza attrattiva dei prodotti o servizi sui quali i due segni sono apposti o per ottimizzare i costi relativi a una campagna pubblicitaria.

Sebbene la pratica del co-branding esista da molti anni, negli ultimi tempi si ha avuto un netto aumento dei prodotti commercializzati con questa tecnica. Nella maggior parte delle situazioni di co-branding, un’impresa ottiene in licenza un marchio famoso da un’altra impresa. Per usarlo in combinazione con la sua. La strategia presenta numerosi vantaggi. Poiché ciascun marchio riveste un ruolo dominante in diverse categorie di prodotto, la combinazione dei due marchi esercita un richiamo più ampio sul consumatore. Generando un valore aggiunto. In più consente all’impresa di estendere il proprio marchio. Ad una categoria che, senza il sostegno dell’altra impresa, risulterebbe difficilmente accessibile.

Tuttavia, i rapporti di co-branding presentano anche dei limiti. In genere richiedono complessi contratti e licenze legali. Ed inoltre un rilevante sforzo di coordinamento tra i partner nelle campagne pubblicitarie e di promozione delle vendite. Oltre che ad altri sforzi di marketing.

Il contratto di distribuzione commerciale

Infine, il contratto di distribuzione commerciale è un accordo che può essere concesso in via esclusiva da un produttore (o fornitore) ad un distributore per la commercializzazione di beni o servizi in un determinato territorio.

Il distributore si impegna ad acquistare prodotti o servizi dal produttore per rivenderli a terzi. Si tratta quindi di un soggetto autonomo. Che opera a proprio rischio nella rete distributiva del fornitore.

Il contratto di distribuzione viene adoperato per realtà molto diverse. Dalla grande distribuzione al piccolo rivenditore. Si usa in particolare tutte le volte in cui il produttore vuole raggiungere il consumatore finale. Lo fa attraverso un distributore al fine di avere una maggiore capillarità di vendita sul mercato. Ma anche penetrare nuovi mercati o mercati esteri. Sfruttando la conoscenza della clientela del distributore. E risparmiare così sui costi per la creazione di una nuova rete commerciale.

Avendo a disposizione così varie tipologie di contratti, una corretta strategia di gestione del portafoglio aziendale dei titoli di proprietà industriale dovrebbe considerare sia lo sfruttamento economico diretto del titolo (cioè quello che avviene ad esempio con l’apposizione del marchio sui propri prodotti o la produzione e la vendita di beni brevettati), sia lo sfruttamento indiretto dello stesso. In particolare in quei mercati che il titolare non è in grado di coprire.

Risulta perciò molto importante per un’azienda esaminare con attenzione quali potrebbero essere le potenzialità di sfruttamento economico dei propri titoli di proprietà industriale. Questo per definire la migliore strategia di tutela ed estensione degli stessi.

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