MILANO – I produttori vietnamiti avrebbero nei loro magazzini sino a 700 mila tonnellate di caffè, di cui ritardano la commercializzazione in attesa di una ripresa dei prezzi, che sono scesi la scorsa settimana a 37 milioni di dong/tonnellata (1772 dollari), contro i 40 milioni di un anno fa.
La commercializzazione in Vietnam
Si tratta di una situazione inusuale – ha dichiarato Hervé Touraine di Sw Commodities, società appartenente al colosso di HongKong Sun Wah Group. “Il nostro monitoraggio indica che 650-700 mila tonnellate di caffè sono ancora in mano ai contadini: una cifra assolutamente anomala per questo periodo dell’anno” ha dichiarato Touraine a un’autorevole agenzia di stampa internazionale aggiungendo che gli stock, dopo le festività del capodanno lunare (Tết), si attestano normalmente tra le 200 e le 300 mila tonnellate.
A giudizio del trader, il comportamento dei contadini potrebbe essere motivato anche dall’elevata inflazione attuale, sebbene essa non sia una motivazione in sé sufficiente. “I produttori considerano il sacco di caffè come un bene rifugio a fronte di una possibile svalutazione interna della valuta nazionale – ha spiegato Touraine – ma devono anche rendersi conto che, visto l’andamento al ribasso del mercato, è innanzitutto il loro sacco di caffè a svalutarsi”.
I 16 principali esportatori vietnamiti hanno varato uno schema in base al quale intendono acquistare oltre 430 mila tonnellate di caffè per sostenere i prezzi, ma secondo calcoli dei trader disporrebbero attualmente di non più di 100 mila tonnellate.
Stime di Volcafe indicano intanto che l’export vietnamita verso gli altri paesi produttori sarebbe quasi raddoppiato nel corso di questa stagione di raccolto. Secondo il trader svizzero, il miglior cliente è stato l’Indonesia, che ha importato forti quantitativi dal Vietnam per compensare un raccolto 2011 disastroso”, ma volumi rilevanti sarebbero stati imbarcati anche alla volta di paesi quali l’Ecuador, il Vietnam, il Messico e la Cina.
Il raccolto in Colombia
Rimane critica la situazione in Colombia, dove la caffeicoltura continua a risentire del cambiamento climatico e delle avversità meteorologiche, che seguitano a impedire il ritorno a livelli produttivi normali.
Secondo i dati pubblicati la settimana scorsa da Fedecafé, la produzione nell’arco dei 12 mesi trascorsi (febbraio 2011-gennaio 2012) ha subito un calo del 20% scendendo a 7.436.000 sacchi da 60 kg, contro i 9.316.000 sacchi dell’analogo periodo precedente.
L’export è in calo del 9% a 7.417.000 sacchi. Grazie alla qualità globalmente riconosciuta dei caffè colombiani e alla forte crescita delle quotazioni sui mercati internazionali, il valore del raccolto è cresciuto, nello stesso periodo, dell’1,6% raggiungendo i 4.600 miliardi di pesos, pari a oltre 2,57 miliardi di dollari.
Vale la pena di sottolineare – osserva la federazione in una nota stampa – che il volume di produzione durante un determinato periodo dipende direttamente dalla quantità e qualità delle fioriture che si sono avute 8 mesi prima. Ciò significa che la formazione del raccolto del primo semestre 2012 è avvenuta tra aprile e ottobre dell’anno trascorso, in un periodo durante il quale si sono registrate intense precipitazioni nelle aree di produzione, che hanno avuto conseguenze dirette sulla fioritura degli arbusti.
Va ulteriormente sottolineato – sostiene Fedecafé – che superfici significative in termini di ettaraggio risultano attualmente improduttive per effetto del programma di rinnovo delle piantagioni con varietà resistenti alla ruggine del caffè, che ha interessato, solo nell’ultimo anno, un’estensione record di 117 mila ettari.