di Luciano Gulli*
La lunga quaresima comunista ha lasciato ai cinesi un retrogusto di carcere, campi di rieducazione, miseria e paura.
C’è da stupirsi che ora, dopo aver assaporato il gusto della libertà e dello shopping (chi può) abbiano deciso di rifarsi la bocca ingozzandosi di cioccolatini (NELLA FOTO UNA TORTA A BASE DI CACAO E NUTELLA)?
Buon per noi, verrebbe da dire, visto che la Cina è diventata il mercato numero uno per la vendita dei Ferrero Rocher. Però attenti, dicono da Londra quelli del Times.
Perché la domanda che viene dall’Asia, Cina in testa, sta sopravanzando l’offerta di così tante lunghezze, che già dalla prossima Pasqua gli inglesi ma non solo loro- si vedranno costretti a mangiare uova di gran lunga più piccole del solito e più care; oppure realizzate con non meglio specificati ingredienti alternativi.
Quest’anno, dice Will Hayflar della OC&C Strategy Consultants, i prezzi previsti sono già del 20 per cento più alti dell’anno scorso. Altro che cioccolato amaro. Amarissimo.
Perché non è finita qui, viste le stime della International Cocoa Organisation, secondo le quali la penuria di prodotto sul mercato, stimata in 115 mila tonnellate, si è già tradotta in una sensibile impennata dei prezzi: da 2680 dollari la tonnellata a gennaio ai 3031 di marzo.
Insomma: l’impennata della domanda di cioccolato (Chinese chocoholics, titola il Times, per dire della dipendenza cinese dal prodotto) fa temere che nei prossimi 3-4 anni non si riuscirà a tener dietro alla produzione, mentre le aziende del settore immaginano già guadagni piramidali.
Nel 2013, le vendite in Cina (dopo essere raddoppiate negli ultimi dieci anni) sono aumentate del 6,9% e per l’anno in corso si attende un incremento ulteriore del 6,1.
Mentre nell’Europa occidentale la crescita è stata dello 0,5% quest’anno e sarà dello 0,6% il prossimo anno. Ballano più denari nelle tasche della middle class cinese, e la libidine da consumo fa sì che la richiesta di beni voluttuari, soprattutto se è una svogliatura a costo modesto come può essere una cioccolata calda o una barretta di cioccolato, sia entrata nell’irrinunciabile paniere del cittadino medio.
Bene, si dirà. Ma non si potrebbero convincere i contadini ghanesi, ivoriani, camerunensi (è da queste regioni d’Africa che viene soprattutto il cacao) a incrementare la produzione? Si potrebbe, ma andrebbe rivoluzionata una filiera all’inizio della quale ci sono i 2 (due!) dollari al giorno guadagnati dai contadini, i cui figli, vista la fame che si fa in campagna, vengono sempre più attratti dalle città.
A differenza di un misterioso insetto che in campagna si trova benone, e dei semi di cacao, che danno luogo al cioccolato, è non meno ghiotto dei cinesi.
E anche questo è un problema. Ottime notizie per la Ferrero, si diceva però. Ma anche per la Icam di Lecco, che dopo aver vistosamente aumentato il fatturato creerà nuova occupazione grazie alla cinese Guangming Food di Shanghai, la più grande food corporation cinese per la produzione di cioccolato, che ha individuato in Italia i centri di eccellenza nella produzione industriale di qualità.
Ma perché la passione dei cinesi proprio per il cioccolatino reso celebre da noi dalla pubblicità della gran dama che si fa scarrozzare da Ambrogio, l’autista? Dice l’ex ambasciatore Francesco Paolo Fulci, presidente di Ferrero Azienda Italia spa, che il segreto sta nell’incarto dorato, sinonimo di ricchezza, e nella forma sferica, che è di buon auspicio.
Per non dire che in mandarino il nome Ferrero Rocher richiama quello di «sabbia dorata». Un triplete vincente.
Fonte: http://www.ilgiornale.it/news/esteri/cina-scopre-cioccolato-e-cacao-ora-non-basta-pi-1012594.html