MILANO – Un caffè al giorno leva il medico di torno. Almeno rispetto ai disturbi infiammatori. A riferirlo sono i ricercatori della Stanford University School of Medicine, secondo cui ci sarebbe un legame tra l’invecchiamento, un meccanismo infiammatorio associato a malattie cardiovascolari e il consumo di caffè.
Secondo lo studio, pubblicato su Nature Medicine, la caffeina potrebbe infatti contrastare l’insorgenza di particolari processi infiammatori negli anziani, che contribuiscono alla comparsa di molti tipi di cancro, morbo di Alzheimer e altre demenze, malattie cardiovascolari, artrosi e depressione.
“I nostri risultati mostrano che un processo infiammatorio associato all’invecchiamento è, a sua volta, catalizzato da meccanismi chimici che possiamo essere in grado di modulare con l’assunzione di caffeina”, spiega uno degli autori dello studio, Mark Davis.
Per capirlo, il team di ricercatori ha utilizzato i dati raccolti dalla coorte di Stanford-Ellison, un programma a lungo termine iniziato 10 anni fa da Davis e dal coautore dello studio Cornelia Dekker, per studiare l’immunologia nell’invecchiamento.
In questo programma, i ricercatori avevano monitorato annualmente un gruppo di persone di età compresa tra i 20-30 anni e un altro gruppo di età superiore ai 60, tramite sondaggi, prelievi di sangue e analisi delle cartelle mediche.
Per il nuovo studio, i ricercatori hanno confrontato i campioni di sangue di entrambi i gruppi per identificare quali geni tendevano a essere più attivi nelle persone anziane, concentrando l’attenzione su due gruppi di geni associati alla produzione di una proteina infiammatoria, chiamata IL-1-beta.
Sebbene il campione fosse piuttosto piccolo, i ricercatori, successivamente, hanno suddiviso in due gruppi i partecipanti più anziani: uno con alta attività di uno o entrambi i geni, e l’altro con uno o entrambi con bassa attività.
Sulla base delle loro storie mediche, gli scienziati hanno scoperto che 9 dei 12 soggetti con alta attività dei geni avevano la pressione alta, rispetto a un solo individuo degli 11 con bassa attività, evidenziando che gli individui del gruppo alta attività avevano molte più probabilità di avere arterie rigide, un fattore di rischio di malattie cardiovascolari, rispetto a quelli del gruppo bassa attività.
Inoltre, il gruppo con alta attività, presentava un maggiore lavoro dei radicali liberi e alte concentrazioni di IL-1-beta e di diversi prodotti di degradazione degli acidi nucleici, che sono prodotti dall’azione dei radicali liberi.
Incuriositi dalla correlazione tra lo stato di salute, l’attivazione del gene dei partecipanti più anziani e le percentuali di consumo di caffeina, i ricercatori hanno verificato che nel sangue dal gruppo con bassa attività era presente sia la caffeina che un certo numero di suoi metaboliti, come per esempio la teofillina, presente anche nel tè, e la teobromina, che abbonda invece nel cioccolato.
Incubando le cellule immunitarie con la caffeina insieme ai metaboliti degli acidi nucleici il team è riuscito a bloccare il loro potente effetto infiammatorio sulle cellule.
“È stata un sorpresa per noi scoprire che quel qualcosa che molte persone bevono potrebbe avere un beneficio diretto”, spiega Davis.
“Quello che abbiamo dimostrato è una correlazione tra il consumo di caffeina e la longevità. E abbiamo dimostrato in modo più rigoroso, in test di laboratorio, un meccanismo molto plausibile del motivo per cui questo potrebbe succedere”.