VERONA – Kombucha: il nome di un tè che viene dall’Oriente e che ci fa già viaggiare solo a sentirlo pronunciare. Le sue origini effettivamente sono lontane e raccontano una storia legata a delle leggende che si perdono nel tempo. Ma questa bevanda prettamente giapponese, ora arriva in Italia e diventa un vero e proprio business gestito dal giovane Stefano Zamboni che ha saputo tramutarlo in un prodotto tutto italiano. Leggiamo come ha fatto dalla notizia di Angiola Petronio su corrieredelveneto.corriere.it.
Kombucha: il tè dei samurai approda in Italia
La leggenda vuole che «Un giorno l’imperatore In-giyo, noto per avere frequenti disturbi e dolori di stomaco che nessuno dei suoi medici personali era riuscito a curare venne a sapere della misteriosa bevanda dalle proprietà uniche preparata da un medico coreano, il dottor Kombu. L’imperatore, disperato, decise così di convocare il dottor Kombu chiedendone l’aiuto. In poco tempo, l’imperatore guarì e la bevanda venne così chiamata in suo onore “Kombu-cha”, ovvero il tè di Kombu».
Sempre la leggenda vuole che Genghis Khan e le sue orde di barbari fossero sempre riforniti di alcune fiasche piene di Kombucha. E che i samurai non affrontassero mai una battaglia senza una fiasca di Kombucha attaccata alla cintura. Miracoloso per molti, quel tonico orientale millenario che si ottiene dalla fermentazione di un tè zuccherato, adesso viene prodotto anche Verona. Per la precisione in via Ponte Florio dove Stefano Zamboni, trent’anni e un passato lavorativo in una grande azienda italiana del food, ha deciso di «ricrearlo». Già, perché il segreto della Kombucha in realtà è lo Scoby. «Una coltura di batteri e lieviti, che ognuno può produrre come crede», spiega Stefano che ha dato vita a una sua azienda, la «Legend Kombucha».
Il processo chimico
Durante il processo di fermentazione lo Scoby digerisce lo zucchero e trasforma il tè in un tonico naturalmente effervescente. Stefano è stato folgorato sulla via della Kombucha due anni fa, in quella patria del wellness che è la California. E altrimenti non poteva essere, visto che quella bevanda viva, e non pastorizzata, sembra riassumere tutti i karma sul benessere. Ha poche calorie, è vegana, non ha glutine e contiene acidi organici e vitamine (in particolare la B12). Una sorta di «elisir» dal gusto agrodolce, ricco in acidi organici benefici, minerali, antiossidanti naturali quali i polifenoli e aminoacidi.
«È stato amore a prima vista», dice Stefano. E da quei primi assaggi è nata l’idea di produrla in Italia. Per scoprire che sul suolo natìo in realtà la Kombucha è conosciuta da almeno settant’anni e usata un po’ come una sorta di «impasto di Padre Pio». Fatta in casa e donata a chi si vuol bene. «Ho conosciuto una signora sarda di 80 anni che la fa regolarmente, per poi regalarla…».
La storia del Kombucha
La storia vuole che a portarla dalla tundra alle Alpi sia stato un soldato italiano, prigioniero in un’altra terra dove la Kombucha è particolarmente apprezzata: quella Russia in cui è arrivata dall’Oriente. Qualcuno a quel soldato regalò uno Scoby e l’infuso conobbe una certa notorietà negli anni Cinquanta, al punto che Renato Carosone ci compose una canzone intitolata «Stu fungu cinese» e che la Domenica del Corriere nel 1954 le dedicò una copertina illustrata da Walter Molino. A produrre Kombucha Stefano Zamboni ha iniziato due anni fa e adesso quell’«elisir» viene venduto tramite e-commerce e lo si può trovare in molti locali trendy sull’asse Verona-Milano. Il suo primo Scoby non poteva non battezzarlo se non «West Coast». Ma la sua kombucha ha mille gusti: l’original blend, la ginger bomb, la pome granade, la Sgt. Pepper’s Mint, Strawberry Fields. Tutti sotto l’egida di un quesito: è nato prima lo Scoby o la Kombucha?