MASSACHUSSETS – Che cosa faranno un team di ricercatori del Mit (Massachusetts Institute of Technology) con un Kombucha? Non se lo bevono durante la pausa dal lavoro, ma ne ricavano un materiale che rivela gli inquinanti ambientali. Dai laboratori del Massachussets, il tè zuccherato fermentato, è una risorsa per ottenere risultati sostenibili. Leggiamo i dettagli di questa ricerca dall’articolo di Sandro Iannaccone su repubblica.it.
Kombucha, la fonte per il materiale del futuro
È un materiale “vivente”, a base di cellulosa ed enzimi, in grado di rilevare inquinanti ambientali. Ed è stato appena realizzato da un’équipe di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, che per metterla a punto si sono ispirati alla cosiddetta SCOBY (acronimo di Symbiotic Culture of Bacteria and Yeast, ossia “coltura simbiotica di batteri e lieviti), una mistura utilizzata per far fermentare il tè zuccherato e trasformarlo in kombucha. Stando agli autori del lavoro, che hanno raccontato la scoperta sulle pagine della rivista Nature Materials, con materiali di questo tipo potrebbe essere addirittura possibile purificare l’acqua o realizzare confezioni alimentari “smart”, in grado di rilevare la presenza di adulterazioni o di cibo andato a male.
“Grazie alla nostra tecnica”, ha spiegato Timothy Lu, uno degli scienziati che ha lavorato al progetto, “in futuro potrebbe essere possibile ‘coltivare’ in casa, o quasi, materiali di questo tipo, usando la biologia anziché la produzione industriale centralizzata”. Il lavoro di Lu è cominciato diversi anni fa, quando insieme ai suoi colleghi ha sviluppato una tecnica sperimentale per usare il batterio E. coli nella generazione di biopellicole con incorporati altri materiali, come per esempio nanotubi di oro, ottimi conduttori di elettricità. Il problema di queste biopellicole è che sono molto piccole e sottili, il che rende difficile il loro utilizzo nella maggior parte delle applicazioni su larga scala. Affinando la tecnica, i ricercatori sembrano oggi essere riusciti a realizzare materiali in maggiore quantità e con proprietà migliori.
Per farlo, hanno guardato per l’appunto al meccanismo chimico che porta alla produzione del kombucha tramite una mistura di alcuni tipi di batteri e lieviti
Una vera e propria “fabbrica di fermentazione” che produce etanolo, cellulosa e acido acetico, che conferisce al kombucha il suo gusto caratteristico. La maggior parte dei ceppi di lievito usati per questa fermentazione, però, sono difficili da modificare geneticamente, quindi i ricercatori li hanno sostituiti con un ceppo di lievito artificiale, chiamato Saccharomyces cerevisiae. Combinando questo lievito con il Komagataeibacter rhaeticus, un batterio precedentemente isolato dal lievito madre usato per il kombucha, sono riusciti a produrre cellulosa in grande quantità. E sostengono che ingegnerizzando opportunamente le cellule di lievito sia possibile, sostanzialmente, “programmare” il materiale per diverse funzioni, come per esempio rilevare e abbattere gli inquinanti nell’ambiente o illuminarsi al buio. “Il nostro sistema non solo è economico”, continuano gli scienziati, “ma rende possibile realizzare facilmente grandi quantità di materiali, fino a mille volte superiori a quelle ottenute con E. coli”.Detto, fatto: per dimostrare le potenzialità del composto, i ricercatori lo hanno realizzato in due versioni, una in grado di rilevare l’estradiolo – un comune inquinante ambientale – e una in grado di produrre una proteina luminosa, la luciferasi, se esposta alla luce blu. La ricetta base? Molto semplice: “Tè, zucchero e un po’ di lievito madre”, dicono i ricercatori. E se non dovesse riuscire, potrete sempre gustarvi una tazza di kombucha.