MILANO – Ormai, complice anche la notorietà televisiva, quando si dice “cioccolato”, un nome in particolare viene in mente: quello di Ernst Knam. Al di là della sua presenza negli schermi degli italiani, il suo lavoro, quello in cui si sporca le mani, avviene nel suo laboratorio di Milano. Qui, dove il profumo di cioccolato è forte, quanto la sua passione per questo prodotto. Leggiamo della sua visione, della sua arte, dall’intervista uscita su sorrisi.com, di Solange Savagnone.
Knam, il re del cioccolato
Su questo prodotto, ha costruito un regno che lo ha portato anche in tv: “Il re del cioccolato”, “Bake Off” (che tornerà a settembre). E ora ne “La mia storia con il cioccolato” (in onda su Food Network il sabato alle ore 14.30).
Knam, partiamo da qui. Com’è iniziata la sua storia con il cioccolato?
«Come la maggior parte dei bimbi in Germania facevo merenda con pane integrale, burro e una tavoletta da 100 grammi di cioccolato fondente».
Se la ricorda la sua prima creazione?
«In casa aiutavo mamma a fare i biscotti natalizi. Iniziavamo a prepararli a novembre, circa due chili per 50 tipologie diverse. Perché eravamo tanti in famiglia: solo noi fratelli eravamo cinque, poi c’erano undici zii. La mia prima invenzione è stato il savoiardo al cacao. Mentre la prima torta è stata la Foresta nera. La mia tata la faceva squisita, me ne mangiavo metà solo io. Mi ha dato la ricetta ma non sono mai riuscito a farla buona come la sua».
Il cioccolato parla una lingua universale. La cosa più importante che ha detto con una sua creazione?
«Forse quando ho convinto mia moglie Alessandra a sposarmi. Le ho preparato una mousse di mango e gelée di frutto della passione su base di cocco. Le è piaciuta tantissimo. Anche se non c’era il cioccolato!».
Lei quale preferisce?
«È tutto buono, il migliore è quello che piace, che sia la pralina industriale o la crema da spalmare, che adoro. E poi il cioccolato è sensibile. Il sapore cambia a seconda di dove lo mangiamo, con chi e dell’umore. Aiuta perfino le donne a restare incinte».
Non ci credo, saranno credenze popolari…
«Invece è vero! Mia moglie Alessandra ha toccato due volte la cabossa, il frutto che contiene le fave di cacao, e così sono arrivati i nostri due bimbi. Ora ne sta alla larga».
Lei come lo gusta nella pace di casa sua?
«Se sono in famiglia mangiamo una torta. Quando sono da solo con mia moglie ci gustiamo un cioccolatino. E non per forza i miei. Se fai questo mestiere devi assaggiare tutto, sia prodotti artigianali che industriali. È fondamentale conoscere le materie prime per creare qualcosa di memorabile, la tecnica viene di conseguenza».
Sì, ma ci sarà un modo corretto per degustarlo. Il metodo Knam qual è?
«Va mangiato da solo, senza pane. Per prima cosa guardo la tavoletta per vedere se è uscito il burro di cacao. Poi lo annuso. Ne stacco un pezzo e già dal rumore capisco quanto cacao c’è. Lo metto in bocca, do due o tre morsi e infine lo lascio sciogliere».
Cosa ci beve sopra?
«Acqua per pulire la bocca o champagne. Ma anche un Amarone o del Barbaresco. Dipende dal cioccolato».
Perché la gente ama così tanto il cioccolato?
«Se in paradiso non c’è, io non ci vado. Il cioccolato è versatile, lo abbini con tutto, è salutare. Inoltre è molto afrodisiaco e va bene prima, durante e dopo l’amore!» (ride).
C’è un modo per rovinarlo?
«Una volta al ristorante me lo hanno proposto abbinato al caviale: mi sono rifiutato anche solo di assaggiarlo. Le materie prime vanno rispettate».
Lei però è famoso per gli abbinamenti azzardati. Il più audace?
«I miei abbinamenti si basano sulla profonda conoscenza della materia prima. I formaggi, come tomini invecchiati o gorgonzola, stanno benissimo con il cioccolato. Ma l’accostamento più audace che ho sperimentato con successo è stato con la colatura di alici: ho fatto un cioccolatino e una torta. Mangiandoli senti il mare. Oppure con l’aglio nero fermentato».
Che mondo sarebbe senza cioccolato?
«Non posso immaginarlo, come non posso immaginare cosa c’è dopo la morte. Per fortuna l’abbiamo, quindi prendiamocene cura».
Se il cacao non fosse mai esistito lei cosa avrebbe fatto?
«Forse il calzolaio: si può guadagnare molto creando scarpe su misura. Da piccolo, invece, avevo tre opzioni. La prima era fare l’ornitologo: mio padre mi aveva costruito una voliera con 200 uccellini. Ma poi ho capito che gli animali mi impedivano di viaggiare. Papà sognava che facessi il fioraio come lui, ma è difficile perché le piante sono vive e bisogna averne cura. Invece mia madre mi suggerì di fare il pasticciere perché così la domenica avremmo potuto mangiare le mie torte».
Contento di avere ascoltato sua madre?
«Così così. Se avessi fatto il gioielliere avrei potuto creare e regalare tanti gioielli alle donne della mia vita. A cominciare da mia moglie»