MILANO – Nel supplemento del Corriere della Sera, CorrierEconomia, in edicola lunedì scorso a pagina 10 c’era un ampio articolo dedicato a caffè Kimbo della Cafè del Brasil Spa. Roberta Scagliarini che ha firmato il pezzo ha indagato sugli ultimi passi di una saga familiare che era iniziata lo scorso anno e che ora vede in campo gli avvocati per il secondo gruppo dell’ espresso italiano, per quanto riguarda il canale retail, il dettaglio.
In sintesi: Michele e Maria Rubino proprietari della quota di maggioranza relativa con il 31% vogliono uscire dalla società. L’ultimo episodio: nei giorni scorsi Raffaele Mazzuoccolo, ex Lavazza, presidente e amministratore delegato dal maggio dell’anno scorso si è dimesso a sorpresa dal doppio incarico ed è stato sostituito dalla famiglia con il commercialista partenopeo Fabrizio Mannato.
di Roberta Scagliarini
Vendesi
Il cartello è appeso sulla quota di maggioranza relativa della Cafè do Brasil, il 31% dell’azienda che produce Kimbo, secondo brand del caffè in Italia.
La cessione delle azioni è l’ ultimo atto di una saga famigliare iniziata lo scorso anno quando i cugini Rubino, eredi dei fondatori dell’azienda napoletana dell’espresso, hanno iniziato a dividersi sulle strategie.
Non perché Kimbo andasse male, anzi, piuttosto perché era opportuno decidere se e come fare un salto di dimensioni e di orizzonti.
La storia
L’ azienda della famiglia Rubino, nata negli anni ‘ 50 da una piccola torrefazione nel centro storico di Napoli, negli anni ‘ 90 è diventata una delle principali società del settore a livello europeo e il suo marchio principale.
Kimbo, ha guadagnato il secondo posto nel mercato retail italiano del caffè confezionato dietro a Lavazza.
Dopo il passaggio del testimone dai tre fratelli fondatori all’ affollata seconda generazione (sette cugini) l’ armonia in azienda è rimasta stabile per una decina d’ anni finché il più anziano degli eredi Rubino, Michele, è rimasto alla guida del gruppo, e due cugine più giovani (Paola e Alessandra) hanno trovato posto nel consiglio di amministrazione e in azienda in posizioni dirigenziali.
La frenata
Tutto bene fino allo scorso anno quando, complice la crisi dei consumi e l’impennata della competizione tra i colossi Nestlé-Nespresso e Lavazza, Kimbo ha accusato un calo dei volumi. ùNiente perdite né buchi, solo una frenata del fatturato a 140 milioni con un utile di dieci milioni.
I cugini, con i rispettivi rami familiari, hanno preteso le dimissioni di Michele, e le hanno votate a maggioranza nonostante la sua contrarietà.
Dopo aver estromesso l’ uomo che dal ‘ 99 in poi aveva guidato l’ azienda prima come amministratore unico, poi, come presidente e amministratore delegato, i cugini Rubino, si sono posti il problema del rilancio del loro espresso, divenuto simbolo del caffè partenopeo grazie agli spot con Proietti e Baudo.
Ma non sono riusciti a trovare una soluzione definitiva.
Hanno nominato un manager provenite da Lavazza, Raffaele Mazzuoccolo, come presidente e amministratore delegato e lui ha impostato un piano di rinnovamento per portare il marchio fuori dai confini della Campania.
L’ addio
Ma pochi giorni fa, a sorpresa, Mazzuoccolo ha rassegnato le sue dimissioni «per motivi personali» come si legge nel verbale del consiglio.
La famiglia allora ha nominato al suo posto il commercialista Fabrizio Mannato che, però, al momento preferisce non rilasciare dichiarazioni.
Ma la pace in azienda non è ancora tornata. Michele e la sorella Maria hanno deciso di esercitare il recesso sulle rispettive quote, il che significa che hanno messo in vendita il 31% dell’ azienda, cioè la quota di maggioranza relativa. E i membri degli altri due rami della dinastia (Paola, Alba e Carmen, da un lato, Alessandra, Mario e la zia Anna Presta, dall’altro) non hanno avanzato proposte per comprarle.
Gli avvocati
Secondo lo statuto della società le azioni in vendita devono essere offerte in prelazione agli altri soci ma, se questi non esercitano il loro diritto di acquistarle, possono essere offerte a terzi oppure rilevate dalla società stessa.
A quanto risulta dai verbali delle varie assemblee che si sono succedute dallo scorso anno, il valore del pacchetto di azioni in vendita è oggetto di valutazione dei periti del tribunale.
Nonostante la schiera di legali e consulenti incaricati dai vari membri della famiglia, non c’è accordo nemmeno sulla gestione dell’ azienda. Michele e la sorella Maria, dopo aver contestato in ogni modo l’ estromissione dal consiglio, ora contestano la scarsa trasparenza delle procedure di governance dei loro cugini.
«Sembra si possa desumere che una società che ha sempre fatto utili si troverebbe inspiegabilmente in perdita – si legge in un intervento dell’avvocato Bordi dello studio Gianni, Origoni, Grippo -. Il socio Michele Rubino si riserva quindi ogni azione presso le competenti autorità giudiziarie volte verificare anche in sede penale l’ operato degli organi sociali».