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Jock Zonfrillo, lo chef Lavazza riscopre la cucina aborigena in Australia

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MILANO – Il caffè e la cucina italiani arrivano dall’altra parte del mondo: dal Bel Paese sino all’Australia, questi cavalli di battaglia made in Italy trovano un eccellente rappresentante nello chef italo-svizzero Jock Zonfrillo. Il brand ambassador Lavazza ha un menù tutto suo, frutto di ricerca nelle origini aborigene delle sue ricette. Leggiamo la sua storia da esquire.com. dove è comparsa un’intervista al cuoco.

Jock Zonfrillo, lo studio di un’offerta antica

Per oltre 10 anni ha lavorato con le comunità aborigene locali e a stretto contatto con gli antropologi. Per esplorare la forte connessione che esiste tra materie prime indigene e il rispetto per la terra e la cultura del posto. Conoscenze che poi ha portato con grande successo nella cucina del suo ristorante Orana, ad Adelaide. Facendo così conoscere a un pubblico più ampio queste tradizioni.

Valorizzare le origini: è questa la sua filosofia, che condivide anche con Lavazza

La storica azienda di caffè che lo ha voluto come uno dei suoi brand ambassador. Lo abbiamo intercettato durante gli Australian Open. Dove con Lavazza è protagonista di una serie di eventi legati al cibo. Ecco cosa ci ha raccontato.

Come è nata la tua passione per la cucina?

“Sono nato in una famiglia per metà italiana e sono cresciuto in mezzo al cibo. Ho sempre dato una mano in cucina quando ero piccolo, poi ho iniziato a lavorare in un ristorante come lavapiatti. Dopo essere stato lì un paio di settimane, uno degli chef si è ammalato e il capo chef mi ha chiesto di aiutarlo. Da quel momento non ne ho potuto più fare a meno.”

Era il tuo sogno fin da bambino?

“Sì, lo è sempre stato. Una volta entrato in cucina ho smesso di interessarmi alla scuola, mi sono concentrato esclusivamente su come proseguire il mio percorso.”

Quando è diventato seriamente un lavoro?

“Da quel momento in poi. Avevo solo 12 anni.”

La tua cucina si ispira agli usi delle popolazioni aborigene. Come ne sei venuto a conoscenza?

“Quando sono arrivato in Australia volevo conoscere a fondo la cucina originale del luogo e ho girato molto. Quando ho visitato l’Australia negli anni 90 per la prima volta non ho potuto scoprire molto a riguardo. Così quando mi sono trasferito nel 2000 ho voluto incontrare la comunità aborigena. E sono entrato a far parte di questo enorme mondo di ingredienti che nessuno aveva mai considerato interessante.

Ho visitato le comunità indigene per saperne di più sugli ingredienti che usano; sui loro sapori. Ho trovato strano che nessuno abbia mai capito prima quanto siano interessanti questi ingredienti.”

Qual è l’ingrediente immancabile nella tua cucina?

“Ce ne sono moltissimi. Abbiamo ingredienti che le persone non hanno mai sentito nominare, in tutto il mondo. Nel mondo dei vegetali ci sono moltissimi ingredienti che crescono sugli alberi e ci sono vari metodi di preparazione che dobbiamo utilizzare per renderli commestibili. Il sapore è molto forte, è incredibile. Credo che il regno vegetale in generale, compresi gli alberi, le piante coltivate e spontanee, sia quello che ci offre la maggior quantità di sapori e diversità.”

Qual è l’ingrediente che non puoi usare, il più inutile?

“Non utilizziamo ingredienti come il fruit gras, non usiamo niente in cucina che non venga dall’Australia. Per la cultura indigena ci sono davvero poche cose che non si possono mangiare. Guardano le cose in un altro modo e considerano commestibili tutti i volatili. Gli aborigeni considerano deliziosi anche i pappagalli. Si nutrono di frutta, semi, noci, quindi la carne è fantastica, tenera e deliziosa.”

Qual è il tuo piatto preferito?

“Il dessert che abbiamo proposto agli Australian Open, che è stato sul menù dal primo giorno di apertura. Composto da latte di bufala, succo di fragole ed estratto d’eucalipto: assomiglia molto alla panna cotta.”

Sei brand ambassador Lavazza, come è iniziata questa collaborazione?

“Sono cresciuto bevendo caffè. Per me è sempre stato importante anche l’interesse che Lavazza ha rivolto al mondo della gastronomia. Questa azienda è prima di tutto familiare. Crede nei valori come il modo in cui opera con le comunità e i coltivatori attraverso la Fondazione Lavazza. L’interesse che ha Lavazza nell’evoluzione del caffè, nella gastronomia è davvero superlativo. Per me è un piacere lavorarci insieme.”

Il caffè non è un ingrediente facile da usare in cucina. Tu lo usi?

“Lo usiamo come tutti gli altri ingredienti, non è affatto difficile inserirlo. Abbiamo dei sapori molto forti in quello che facciamo, e il sapore amaro ci interessa molto. Usiamo il caffè in tantissimi modi diversi. Soprattutto come retrogusto, non si percepisce immediatamente nella ricetta, ma c’è. Potresti aver provato metà dei piatti del mio ristorante senza realizzare che dentro c’è del caffè.”

Nel 2016 hai fondato la Orana Foundation, ce ne puoi parlare?

“La fondazione si occupa di creare opportunità nelle comunità aborigene. Lo scopo principale è quello di dare aiuto alle popolazioni indigene. Visto che c’è una lunga storia di repressione delle persone di colore in Australia. Sono i primi abitanti di questo paese e hanno moltissimo da insegnarci: questo è il mio modo di ripagarli.”

Quale è il tuo consiglio per i giovani chef?

Segui il tuo cuore. Trova qualcosa che vuoi davvero, qualcosa che ti interessa. Per alcuni è la ristorazione alberghiera, per altri il catering; per altri può essere fare lo stesso piatto tutto il giorno, ma devi essere onesto con te stesso e lavorare per fare quello che ami davvero.”

La cucina sta vivendo una profonda trasformazione. Quali saranno le più importanti rivoluzioni nei prossimi 10 anni secondo te?

“L’uso di ingredienti naturali provenienti da ogni terra, da ogni paese. Si deve puntare a quello che cresce naturalmente. Senza bisogno di irrigazione, agenti chimici, assistenza, perché il clima sta cambiando, cambia il tempo, il livello del mare, le precipitazioni. Credo che i paesi inizieranno presto a interrogarsi su questi cambiamenti e sulle loro conseguenze, su qual è la miglior strategia da adottare per fronteggiarli. Invece che sovraccaricare di agenti chimici le piantagioni.

Ci sono prodotti che crescono in maniera naturale in ogni luogo, le persone dovrebbero iniziare a coltivare come una comunità. E pensare a cosa cresce in un certo paese, in maniera naturale, senza assistenza.”

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