Giuseppe Lavazza, vicepresidente del gruppo, ha rilasciato un’intervista esclusiva al programma The Floor di ClassCnbc e pubblicata sul quotidiano Milano Finanza. Ve la proponiamo.
di Silvia Berzoni ClassCnbc*
Lavazza all’insegna dello sport. Ma anche del business. Dopo Wimbledon e Roland Garros, Lavazza è sponsor ufficiale anche degli US Open di tennis.
Giuseppe Lavazza: “Gli Stati Uniti sono il primo mercato su cui puntiamo per realizzare il nostro obiettivo, diventare sempre più internazionali. La sponsorizzazione dello US Open si inserisce all’interno di questo percorso strategico. Tutto ciò che può sostenere lo sviluppo del nostro marchio è nel mirino dei nostri investimenti”.
Nel 2014 il vostro giro d’affari in Nordamerica ha superato i 100 milioni di dollari. Cosa vi aspettate quest’anno?
“Negli ultimi tre anni abbiamo registrato tassi di crescita molto rilevanti, segno che la pazienza che ci ha contraddistinto – siamo presenti dal 1990 – sta finalmente portando i giusti frutti. Anche quest’anno ci aspettiamo una crescita a doppia cifra. Abbiamo rinnovato il portafoglio e l’offerta, cercando di allargare il range delle nostre opzioni di caffè. La strategia ci sta premiando con grande soddisfazione”.
Il mondo del caffè sta attraversando un’importante fase di consolidamento. In quest’ottica nel 2010 avete acquistato una partecipazione in Green Mountain che però avete ridotto solo pochi mesi fa per destinare le risorse ad altre acquisizioni strategiche come Carte Noir e Merrild.
Il mercato si sta muovendo a ritmi sostenuti. Il big bang che ha messo in moto un vero e proprio risiko nel settore è stato provocato dall’ingresso di un nuovo player, Jde, che ha rivoluzionato l’orizzonte. Fortunatamente Lavazza si è trovata preparata. Da una parte avevamo in casa risorse finanziarie generate dalla nostra gestione. Dall’altra, abbiamo aggiunto una quota di liquidità notevole grazie alle plusvalenze realizzate con Green Mountain. Il denaro in cassa è arrivato al momento giusto per partecipare a un deal che ci permetterebbe di diventare un player rilevante su due altri mercati europei, Francia e Danimarca. Il punto di svolta non è essere presente in tanti mercati ma essere leader o almeno sul podio.
Per reperire liquidità e avanzare l’offerta a Carte Noire e Merrild avete dovuto ridurre la partecipazione in Green Mountain dal 7 al 3%. Quanto limita le possibilità di crescita il fatto di non essere quotati?
La nostra strategia si basa su due direttrici di crescita: la prima, organica, attraverso lo sviluppo del nostro marchio, la seconda attraverso acquisizioni mirate sui mercati internazionali. Abbiamo già individuato alcuni bersagli ma se non dovessero concretizzarsi, saremmo pronti a considerare altre opzioni. La quotazione rappresenta uno strumento. Bisogna prestare molta attenzione e non giocare le proprie carte e risorse nel momento sbagliato; oggi Lavazza non ha bisogno di compiere questo passo ma ci riserviamo la possibilità per il futuro, magari a fronte di alleanze con gruppi importanti. Il nostro desiderio, però, è di rimanere in ogni caso al 51%.
Tra Milano e Wall Street cosa sceglierebbe? Una soluzione italiana come ha fatto Segafredo o la maggiore visibilità garantita dal Nyse?
Siamo molto orgogliosi di essere italiani e vogliamo essere una bandiera italiana nel mondo grazie alla nostra capacità di rendere preziose le piccole cose. Allo stesso tempo, è necessario essere aperti, superare un’attitudine conservatrice e prepararsi a navigare in un oceano più esteso. Indubbiamente una quotazione in un mercato come Wall Street o sulla borsa di Londra sarebbe preferibile.
Siete stati campioni d’innovazione nel settore. Negli anni Settanta con le prime confezioni sottovuoto, poi le capsule, infine il primo espresso portato nello spazio e bevuto da Samantha Cristoforetti. Come vede il mercato tra dieci anni sul fronte dell’innovazione?
Le nuove frontiere sono legate alla sostenibilità e alla responsabilità sociale d’impresa, all’attenzione al fine vita del prodotto che, soprattutto per il caffè, può diventare un nuovo input per generare ricadute positive su tutta la catena economica. Lavazza cerca sempre di essere all’avanguardia in termini di innovazione. Forse, in alcuni casi, siamo stati troppo timidi ma siamo un’azienda che combatte e non ha paura di territori inesplorati, come appunto lo spazio. La prima macchina espresso è stata inventata a Torino nel XIV secolo. Lo stesso vale per la prima macchina inviata in una stazione spaziale. L’inizio è stato a Torino e il futuro sarà a Torino. In Italia.
Parlando dell’Italia, vede segnali di ripresa?
Considerando il Qe della Bce, il basso prezzo del petrolio, la maggior competitività garantita dall’euro debole e altri fattori congiunturali, sarebbe sorprendente se non ci fossero segnali di ripresa. Significherebbe che siamo morti. Siamo stati rivitalizzati da alcuni fattori esterni ma è importante, soprattutto in questo momento, fare molta attenzione. Dobbiamo tornare in possesso della guida del nostro mezzo. Il problema più grosso è la crescita del debito pubblico, che nessuno sembra in grado di arrestare. Un meccanismo estremamente pericoloso e perverso perché rischia di mandare all’aria qualunque tipo di strategia di risanamento del Paese. Accanto a questo, è fondamentale che le riforme vengano implementate rapidamente. Ma siamo ottimisti. Ci sono promesse e speranze, ma vanno realizzate. Non servono parole ma un segnale che le cose si vogliono davvero fare.