lunedì 23 Dicembre 2024
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Indicatore composto ai minimi ad agosto, in calo per valore e volume

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MILANO – L’ottavo mese dell’annata caffearia segna l’ottavo calo consecutivo della media mensile dell’indicatore composto, che scivola a 157,68 centesimi per libbra (-1,7%) ossia il valore più basso da agosto 2010. I 3 indicatori degli arabica perdono, nell’ordine, il 3,3% (colombiani dolci), il 3,5% (altri dolci) e il 3,7% (brasiliani naturali). Invertono il trend, invece, i robusta, il cui indicatore torna a salire rivalutandosi del 5% sul mese precedente.

Indicatore composto in calo

Analogamente, New York arretra del 2,9%, mentre Londra guadagna il 5,5%. Per effetto di questo andamento si restringe ulteriormente la forbice dei differenziali arabica-robusta e l’arbitraggio New York-Londra si riduce dell’11,4%. Arrivano intanto nuove rettifiche per quanto riguarda il dato sulla produzione mondiale, che viene corretto al rialzo di circa mezzo milione di sacchi rispetto al report di aprile ed è stimato attualmente in 131,86 milioni di sacchi.

Rilevanti gli aggiustamenti attuati nelle cifre disaggregate, in particolare per quanto riguarda Africa e Asia

La produzione dell’Africa è quantificata in 17,145 milioni di sacchi, principalmente per effetto di un forte ridimensionamento della stima sulla produzione dell’Etiopia (-1,8 milioni di sacchi), peraltro ampiamente atteso. A ciò fa riscontro una correzione al rialzo delle cifre relative all’Asia di oltre un milione e mezzo di sacchi, imputabile interamente al Vietnam, la cui produzione viene ora stimata nel volume record di 20 milioni di sacchi. Nel compiere tale correzione, l’Ico non fornisce alcuna spiegazione, né rimanda a qualche fonte statistica in particolare.

L’anno di raccolto 2012/13 è iniziato da poco in alcuni paesi produttori – si legge nel rapporto – tra cui Brasile, Indonesia, Perù e Papua Nuova Guinea. Le prospettive produttive appaiono buone. Incrementi significativi sono attesi in Brasile, per effetto della ciclicità degli arabica. Gli elevati livelli di prezzo raggiunti di recente – prosegue ancora il report – hanno incoraggiato gli investimenti in input.

Ma il crescere dei costi e l’onerosità sempre maggiore della manodopera potrebbero rivelarsi un freno a un accrescimento significativo della produzione. Non va poi trascurata la variabile meteorologica, che anche in questo momento sta incidendo in modo significativo sugli esiti produttivi di numerosi paesi. La minor offerta di arabica (in particolare colombiani dolci e brasiliani naturali) ha portato intanto a un calo dell’export. Nei primi 7 mesi dell’annata caffearia 2011/12 le esportazioni mondiali sono state di 60,3 milioni di sacchi, contro i 62,8 milioni dell’analogo periodo del 2010/11. Va ricordato che l’export ha raggiunto, nell’arco dell’anno solare 2011, il livello record di 104,2 milioni di sacchi, contro i 96,9 milioni del 2010.

È importante sottolineare inoltre come, a fronte di un incremento a volume del 7,5%, il valore delle esportazioni sia cresciuto di ben il 45,5%, raggiungendo un totale, anch’esso senza precedenti, di 24,3 miliardi di dollari. In appendice al report viene proposta una breve analisi dei consumi mondiali degli ultimi 20 anni, basata su recenti studi dell’Organizzazione.

Da essa apprendiamo che, nel periodo 1990-2011, i consumi sono passati da 89,810 a 137,9 milioni di sacchi, con un incremento complessivo del 53,5% e un tasso di incremento annuo del 2,1% Un rapido sguardo alle cifre evidenzia il ruolo chiave dei mercati emergenti e dei paesi produttori, che hanno registrato entrambi, nell’arco del periodo considerato, una crescita media annua del 3,8%, contro lo 0,9% dei mercati tradizionali.

La share di mercato di questi ultimi è scesa dal 65,7% del 1990 al 51,3% del 2001. Ossia, la quota di consumi mondiali riconducibile ai paesi produttori e ai mercati emergenti è passata nell’arco di un ventennio da poco più di un terzo a quasi la metà ed appare destinata, vista la forza e il radicamento del trend, a crescere ulteriormente negli anni a venire. Nel complesso, i consumi dei paesi esportatori sono passati dai 19,418 milioni di sacchi del 1990 ai 42,412 milioni del 2011, con un incremento del 118,4%. Il solo Brasile è passato da 8,2 milioni a 19,573 milioni di sacchi (i suoi consumi attuali sono dunque superiori a quelli di tutti i paesi esportatori messi assieme vent’anni fa) pari a una crescita del 138,7%.

Spettacolari anche gli incrementi registrati dagli altri principali paesi produttori, anche se va detto che questi ultimi sono partiti, quasi sempre, da livelli molto bassi

L’Etiopia vede lievitare i propri consumi del 181,9%, l’Indonesia del 169,7%, il Messico del 52,5%, le Filippine (da tempo importatrici nette di caffè) del 202,8%, l’India del 142,8%, il Vietnam addirittura del 1307,1%. L’unico paese in parziale controtendenza (ma il dato andrebbe verificato e analizzato più da vicino) è la Colombia dove la crescita, dal 1990 al 2011, è stata di appena l’8,2%% e i consumi sono addirittura calati, nel corso dell’ultimo decennio. I margini di crescita rimangono rilevanti, se si considera che solo i primi 5 paesi esportatori hanno consumi superiori ai 2 milioni di sacchi o che un paese come l’India, con una popolazione di 1,1 miliardi di abitanti, presenta consumi interni di appena 1,763 milioni di sacchi.

I consumi dei mercati emergenti sono passati, in pari tempo, da 11,336 a 24,717 milioni, in crescita del 118,1% L’assieme dei paesi importatori registra un incremento del 35,7%, da 70,392 a 95,488 milioni di sacchi. Di poco inferiore al 20% (+19,8%) la crescita dei mercati tradizionali, che passano da 59,057 a 70,771 milioni di sacchi. I paesi dove i consumi sono aumentati maggiormente risultano essere il Canada (+81,1%), il Giappone (+38,6%) e la Germania (+30%). L’Italia è passata dai 4,832 milioni di sacchi del 1990 ai 5,689 milioni del 2011, con una crescita, nell’arco di 2 decenni, del 17,7%. La breve analisi si conclude con una proiezione al 2020, in base alla quale i consumi mondiali, continuando a crescere a ritmi simili a quelli attuali, potrebbero superare, a fine decennio, i 170 milioni di sacchi. Riuscirà la produzione a stare al passo con un incremento così significativo della domanda mondiale?

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