di Paolo Possamai*
La famiglia Illy potrebbe portare a Piazza Affari il tè e magari pure la cioccolata. Gruppo Illy difatti non è solo il caffè con il marchio rosso disegnato da James Rosenquist. “Escludendo la quotazione dell’azienda del caffè, che non ne ha bisogno, Dammann Frères o Domori potrebbero invece avere la necessità di accelerare il passo e quindi del booster della Borsa o di un partner esterno che apporti capitale e know-how per sviluppare in particolare la rete dei negozi monomarca”.
Parole di Riccardo Illy, che del gruppo interamente detenuto dalla famiglia triestina è presidente.
Parole con le quali Riccardo tende a smontare la tesi secondo cui vi sarebbe distonia – in tema di Borsa – tra lui e suo fratello Andrea, che guida Illy Caffè. E anzi Riccardo cita Andrea e la sua analisi strategica, espressa di recente presentando a Trieste il suo libro “Il sogno del caffè”.
Secondo Andrea Illy, l’azienda di famiglia può ambire nell’arco di 3-5 anni a più che raddoppiare i propri volumi, passando dallo 0,4 per cento all’1 per cento della produzione mondiale, dunque continuando a presidiare la fascia top.
“Sottoscrivo” rimarca Riccardo, con particolare enfasi riguardo alla strategia di fondo che rimonta al 2004 e alla scelta di non essere polo aggregante nel caffè e di diversificare nei prodotti coloniali (tè e cioccolato) e nei dolciari (confetture).
“Dammann e Domori sono appena agli inizi, possono arrivare ciascuna oltre i 100 milioni nell’arco di 10-20 anni, seguendo una traiettoria identica a quella del caffè.
Diverso il caso dell’azienda vinicola Mastrojanni, che è il business dei nipotini” afferma il presidente del gruppo. Per inciso, quando Renzi è andato a pranzo da Obama ha portato con sé una cassetta di vini italiani con un Brunello di Montalcino. Recava il marchio Mastrojanni.
Nell’attesa che le vigne crescano, il caffè continua a garantire poco meno del 90 per cento del fatturato di gruppo. E dunque, massima concentrazione sul core business di famiglia e sul fatto che il consolidamento nel settore caffè a livello mondiale avanza a grandi passi e sul piano nazionale centinaia di piccoli torrefattori non riescono ad accedere all’export, alle tecnologie più recenti come le capsule e nemmeno alla grande distribuzione.
“Parliamo di un fenomeno che porterà a chiusure e integrazioni, ma in cui non vogliamo aver parte. Potremmo forse valutare acquisizioni di marchi per sterilizzare concorrenti. Ma noi vogliamo espandere la nicchia dell’eccellenza, che ripaga in termini di profittabilità e di sostenibilità” dice ancora Riccardo Illy.
A proposito di reddito, nemmeno il Gruppo Illy è stato risparmiato dalle onde della depressione e difatti, per esempio, nel 2012 ha pitturato di rosso il bilancio. Ma le acquisizioni sono poi state messe a regime e nel 2014 il fatturato consolidato è arrivato a quota 429,5 milioni (+4,5 per cento), mentre il margine operativo lordo (Ebitda) vale 62 milioni, il risultato operativo (Ebit) sta alla soglia di 25,3 milioni e l’utile netto consiste in 5 milioni di euro (in crescita di 35 volte sul 2013).
La posizione finanziaria netta della holding al netto delle obbligazioni dei soci al 31 dicembre scorso è pari a 53,2 milioni di euro (se consolidato al netto delle obbligazioni dei soci – posizione finanziaria 162,5 milioni).
I numeri consolidati, peraltro, riflettono un andamento positivo di tutte le controllate e partecipate: da Illycaffè a Dammann, da Agrimontana a Domori, da Mastrojanni a Grom.
Il presidente del gruppo triestino sottolinea pure che “il 2015 è partito anche meglio” e che tutte le aziende nei primi 5 mesi vedono una crescita a due cifre per i ricavi, dal +9 per cento del caffè al +28 per cento di Domori.
A giocare è il fattore export, dato che tra bar e hotel in Italia le tazzine di caffè continuano a calare. Ma le esportazioni di caffè pesano ormai i 2/3 del totale, mentre pesano il 26% per la casa di tè francese Dammann, il 15% per le confetture di Agrimontana, il 21% per il cioccolato di Domori, l’11% per i gelati di Grom e toccano il 64% per le bottiglie di Mastrojanni.
“Siamo soddisfatti di questa fase – dice ancora Illy – perché la strategia di acquisizioni avviata un decennio or sono si è dimostrata valida. Il pay back ancora non c’è stato, ma siamo in perfetto equilibrio finanziario e facciamo fronte senza difficoltà ai vari mutui. Del resto pratichiamo cautela e suggeriamo a tutte le imprese partecipate di indebitarsi fino a un livello massimo pari al patrimonio, a parte le obbligazioni dei soci”.
Significa che il processo di acquisizioni è arrivato al suo compimento o che non vi sono energie finanziarie sufficienti per sostenere oggi ulteriori passi?
“In questo momento non stiamo studiando alcuna acquisizione – risponde Illy – e siamo concentrati a sviluppare il perimetro esistente. Ogni anno costantemente dedichiamo 30 milioni di euro di investimenti allo sviluppo. Nel nostro bouquet partecipazioni non manca nulla di essenziale, potrebbe forse entrare una azienda di prodotti da forno perché complementare. Il gruppo funziona”.
Che il gruppo funzioni, e che in particolar modo il marchio del caffè sia assai appetito, lo ha rilevato nei giorni scorsi pure Andrea rivelando che a più riprese i colossi del settore hanno bussato alla porta di casa Illy.
“Sono un fatto periodico, è avvenuto pure di recente” conferma Riccardo. “Ma l’azienda è il nostro lavoro e la nostra vita e ci sembra di gestirla benino. E poi abbiamo nuove generazioni impegnate in prospettiva, peraltro con condizioni indicate in maniera estremamente chiara nel patto di famiglia. Per esempio, i familiari non hanno la precedenza rispetto ai collaboratori, conta il merito”.
Fattore di cui dovrà tenere conto pure Roland Berger, incaricato da Illy Caffè a inizio anno per un periodico check up della strategia. A fine mese è attesa la consegna del report