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venerdì 30 Agosto 2024
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Dentro il primo e solo in-country partner CQI in Italia, Imperator: “Come e perché ci siamo riusciti”

Polojac: "L’in-country non è altro che uno snodo che permette al suo specifico mercato o area di contare su di un punto di riferimento CQI per la promozione di alcuni eventi e corsi e nell’essere un luogo di consegna dei cosiddetti Q-Coffee, ovvero quei caffè certificati attraverso il vaglio di 3 Q-Graders, per essere certi che siano specialty e che quindi rispondano a determinati criteri dettati dal CQI sia per il verde che per il cupping"

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MILANO – Imperator, azienda importatrice di caffè crudo triestina, tre generazioni nel commercio del verde: non per questo ha mai smesso di fare innovazione, prima promuovendo lo specialty coffee in Italia, l’alta formazione, e di recente stringendo sempre più il rapporto già consolidato negli anni con il Coffee Quality Institute, diventando il primo e solo in-country partner di CQI.

Imperator quindi, in prima linea, ma facciamo un passo indietro. Cos’è esattamente un in-country Partner, quanti ce ne sono nel mondo?

“Sono 37 nel mondo e sono presenti sul sito del CQI insieme a tutti i Q-Graders e le Q-venues. Solitamente sono uno per ogni Paese di riferimento.

L’in-country non è altro che uno snodo che permette al suo specifico mercato o area di contare su di un punto di riferimento CQI per la promozione di alcuni eventi e corsi e nell’essere un luogo di consegna dei cosiddetti Q-Coffee, ovvero quei caffè certificati attraverso il vaglio di 3 Q-Graders, per essere certi che siano specialty e che quindi rispondano a determinati criteri dettati dal CQI sia per il verde che per il cupping.

Sono parametri spesso molto simili per quanto riguarda il verde a quelli usati anche dalla Specialty Coffee Association (SCA). Certo attualmente il CQI continua ad applicare il protocollo di cupping tradizionale, osservando però con interesse lo sviluppo del nuovo C.V.A. di SCA, per ora ancora in fase di rodaggio.”

In Italia però fino ad ora nessuno ci era riuscito: come Imperator, da quanto avete puntato questo riconoscimento e quanti anni di lavoro ha comportato?

“E’ un percorso che ho iniziato personalmente che è partito da molto lontano: mi sono interessato al CQI già quando ho fatto il mio ingresso nel mondo del caffè 20 anni fa. Il CQI all’epoca era piuttosto conosciuto negli Stati Uniti, ma ancora poco in Europa.

Appena si è aperta l’opportunità di seguire un corso per Q Graders plus Arabica in Italia nel 2012, mi sono formato. Da lì ho continuato a tenermi aggiornato rispetto al CQI, che rappresenta un’istituzione principalmente formativa ma non solo, molto rigorosa e che
sottopone gli studenti a degli esami piuttosto duri.

Da questo mio primo approccio in veste di Q-Graders, ho voluto affrontare anche la procedura per diventare Q-Instructor: un tempo o si viaggiava una volta all’anno negli Stati Uniti in concomitanza dell’esame, oppure non si poteva essere trainer.

Così gli anni sono passati, finché ad un certo punto ce l’ho fatta e nel 2020 ho ottenuto anche questa qualifica, grazie al fatto che ci fosse la possibilità di svolgere una parte dell’esame online. In qualità di trainer qualificato, ho voluto insegnare in italiano così da venire incontro alle esigenze degli operatori del nostro Paese.

Ricordiamoci infatti che uno dei maggiori scogli spesso è proprio nella lingua in cui questi
corsi vengono erogati e quindi per noi è stato importante offrire un programma di corsi che fossero più alla portata di tutti.

Ma questo cammino parallelo a CQI non si è fermato con me: poco dopo ho fatto diventare la Bloom Coffee School una Q-Venue, ossia uno spazio certificato in cui si tengono i corsi di CQI, dopo aver superato una serie di controlli rigorosi. Per il ruolo che abbiamo nella filiera come Imperator, la conseguenza naturale è stata poi la richiesta per essere In-country partner.

Ciascun Paese può contarne soltanto uno e così ho avviato la procedura che consiste in diversi passaggi ulteriori rispetto alla certificazione per Q-Venues, con alcune pratiche formali per poter essere accettati dal CQI come partner.”

Quali sono quindi i criteri esatti per poter essere in-country Partner CQI?

“Soprattutto si deve garantire una fluidità nel processo di certificazione del Q-coffee. Non soltanto il laboratorio in cui avvengono i corsi e le preparazioni, ma anche nell’analisi e controllo qualità interno. Devono esserci determinati strumenti e avere una routine di lavoro consolidato.”

Che cosa dà in più Imperator nella possibilità di analizzare il dna del verde, anche in relazione alle nuove regole EUDR?

“Questo servizio esula di per sé dal CQI ma lo aggiungiamo come Imperator in quanto utile per chi acquista una determinata origine o una varietà prestigiosa come il più famoso Geisha, o Ls28 del Kenya, perché il dna è l’unico modo che si ha per certificare che sia effettivamente quello che si è comprato all’origine. E il discorso può valere anche per gli stessi produttori di caffè, che a volte non ritrovano la corrispondenza rispetto a ciò che hanno acquistato.

Con il laboratorio di Trieste possiamo implementare la certificazione CQI. Questo processo si sposa con la nostra filosofia di voler sfruttare la normativa a nostro favore: non è un’imposizione, ma un’occasione di sviluppare determinate aree. E l’EUDR è così: le nuove normative sulla deforestazione verranno completate con l’analisi del dna e con i nuovi metodi di tracciabilità che lanceremo più avanti nel corso di quest’anno.”

Ora che Imperator ha assunto questo ruolo cruciale a livello nazionale, che cosa rappresenta per la torrefazione italiana, non soltanto di specialty?

“Trattiamo materia prima di una certa qualità ovviamente, ma assolutamente analizziamo anche il verde oltre lo specialty, Arabica, Robusta, qualche Fine Robusta. Cercando di uscire dall’equivoco del termine “specialty”, spesso usato senza verificare realmente che lo sia.

Per esperienza posso dire che molti caffè commerciali corrispondono per le loro caratteristiche a degli specialty, ma vengono immessi nel mercato come tradizionali. Eppure sono puliti, senza difetti, certo magari presentano qualche maggiore pecca nel verde ma potrebbero essere tranquillamente classificati come specialty.

La filiera quindi ha bisogno di un servizio come il nostro, per certificare la materia prima. Ovviamente non possiamo effettuare gli stessi controlli sul nostro caffè, ma soltanto sui caffè di terzi per evitare conflitti di interesse.

Paradossalmente dobbiamo far certificare il nostro caffè da altri in-country partner – anche se noi come laboratorio interno possiamo valutare, ma non dare certificazioni -.

Anche il nostro settore ha apprezzato il nostro riconoscimento: per i grandi nomi è interessante, c’è stata già una manifestazione di interesse, mentre per i piccoli è un po’più difficile a causa dei costi da affrontare.

Per chi è spaventato dal prezzo per la certificazione, è possibile ammortizzarlo sottoponendo diversi campioni. Per mettere in moto la macchina di controllo qualità solo per un sample la cifra si alza, ma su 10 ha senso.

Vogliamo sempre mantenerci innovativi. I grandi marchi del commercio di caffè verde sono operativi in termini di tracciabilità e noi ci uniremo a loro per sfruttare questa opportunità dell’EUDR. Mi auguro che il mercato dello specialty e l’approccio verso questo prodotto possa trasformarsi anche grazie a questi traguardi italiani. Che in termini di filiera portano a una maggiore conoscenza e di conseguenza coinvolgeranno anche i consumatori e tutti gli attori della supply chain.”

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