BOLOGNA — L ’asticella è fissata in alto, a quota due miliardi di euro entro il 2020. «Si può fare», dice senza scomporsi Alberto Vacchi, leader di Ima, il colosso delle macchine automatiche di Bologna.
E che il pensiero dei due miliardi di fatturato non turbi il manager, ex candidato alla presidenza di Confindustria contro Vincenzo Boccia, è abbastanza normale, visto che l’azienda controllata dalla sua famiglia, ma quotata in Borsa sul segmento Star, ha appena presentato un preliminare 2017 ancora una volta in crescita, mentre vive giorni contrastati sui mercati azionari.
Il gruppo stima un giro d’affari di oltre 1,4 miliardi di euro, in aumento del 10 per cento rispetto al 2016, mentre l’Ebitda cresce del 15,7 per cento e supera i 207 milioni di euro.
Risultati «superiori ai target già annunciati », spiegano dal quartier generale sulla via Emilia, che si accompagnano a una decisa crescita del portafoglio ordini consolidato che sfiora gli 867 milioni di euro rispetto ai 766 milioni di un anno fa (+13,1 per cento).
Quanto basta per far presagire un 2018 altrettanto positivo.
«Il budget lo presenteremo fra un mese, ma le prospettive sono decisamente buone – spiega Vacchi, presidente e ad di Ima – Gli ordini di inizio anno fanno presagire un’ulteriore sensibile crescita anche mantenendo il perimetro attuale. Ma stiamo valutando diverse opzioni acquisitive».
Ima insomma continua a fare quello cui è abituata: ampliare il gruppo facendo shopping in tutto il mondo e far crescere e innovare la gamma di prodotti.
Dalle linee degli stabilimenti di Ozzano Emilia, vicino Bologna, così come dalle 41 fabbriche sparse in giro per il mondo, escono ogni anno macchine automatiche per confezionare vari prodotti: dalle bustine di tè ai farmaci, dai cosmetici al caffè, fino ad alimentari e prodotti del tabacco.
I dipendenti totali sono più di 5.600. L’obiettivo dei 2 miliardi di fatturato fissato da Vacchi così non sembra troppo lontano.
Crescita costantemente in doppia cifra
Negli ultimi dieci anni il giro d’affari complessivo del gruppo è quasi triplicato (da 547 milioni del 2008 a 1,4 miliardi del 2017) e la distanza di circa 600 milioni che separa il fatturato attuale da quello auspicato per il 2020 corrisponde più o meno al progresso degli ultimi tre anni.
«Ima non abbandona mai la doppia via di crescita, interna ed esterna – sottolinea l’ad – Abbiamo fatto acquisizioni nel 2017 e ne faremo anche nel 2018, partendo dal presupposto che la posizione finanziaria è tale che ci consente di reggere autonomamente operazioni del genere».
L’indebitamento del gruppo nell’ultimo anno si è infatti dimezzato, passando da 100 a 50 milioni, grazie alla quotazione in ottobre della controllata Gima Tt (vedi box), che ha garantito un incasso di circa 102 milioni di euro, e nonostante l’esborso di 47,6 milioni per la chiusura di alcune delle ultime operazioni fatte, come l’acquisto di partecipazioni in Mapster, Mai, Eurosicma o il saldo per l’acquisizione di Medtech.
Solo negli ultimi dieci anni le acquisizioni simili sono state una ventina. Tra cui le italiane Gima e il Gruppo Sympak Corazza, la svizzera Ilapak; o l’acquisto nel 2014 dal gruppo Oystar, per 65 milioni di euro, di cinque campioni tedeschi delle macchine automatiche: Benhil, Erca, Hassia, Hamba e Gasti.
Ima finora è stata anche un porto sicuro per gli investitori
Quotata fin dal 1995 ed entrata nel segmento Star nel 2001, il titolo è cresciuto quasi ininterrottamente negli ultimi anni. Toccando un valore massimo di 85 euro nel giugno scorso per poi perdere terreno (circa il 13 per cento) a partire dall’estate. Dopo la quotazione di Gima Tt e l’annuncio di risultati meno brillanti del previsto; per redditività, nel settore alimentare. Problemi che recentemente gli analisti di Equita Sim hanno considerato «ormai alle spalle». Rivedendo a “Buy” il giudizio sul titolo e alzando il target di prezzo a 80 euro.
Anche se le fluttuazioni continuano in questi giorni. «I problemi nel food erano dettati dalla stabilizzazione del comparto dopo le ultime acquisizioni. Ma quest’anno avremo un miglioramento anche qui – rassicura Vacchi –. I mercati non ci preoccupano, sono andati su e giù per poi tornare verso valori target. Sia per Ima che per Gima Tt. Andamenti inevitabili in mercati azionari che hanno aumentato la volatilità».
Intanto il gruppo, che investe tra il 5 e il 6 per cento del fatturato in ricerca e sviluppo, sta impegnandosi ancora più che in passato nell’innovazione tecnologica e nell’industria 4.0. E’ il progetto Ima Digital. «Ce l’abbiamo sempre avuto nel Dna, ma oggi viene richiesto un passo in più», dice Vacchi. E continua a investire in Italia.
Da dieci anni tra l’altro Ima ha rafforzato la rete dei suoi fornitori. Entrando come socio di minoranza in una ventina di società. Che hanno progressivamente aumentato il loro fatturato da 20 a 200 milioni di euro.
Più forte nel settore del caffè
Va che ricordato che a inizio 2017, Ima – tramite la controllata Gima – ha sottoscritto un accordo per l’acquisto dell’80% del capitale della Mapster. Si tratta dell’importante player nella progettazione, produzione e commercializzazione di macchine automatiche per il riempimento e confezionamento di capsule (single serve).
Sempre attraverso la controllata Gima, Ima ha in contemporanea sottoscritto un accordo con la famiglia Giberti per l’acquisizione del 49% di Petroncini Impianti. Che è l’azienda di riferimento nel settore dei macchinari per il processo produttivo del caffè, per la movimentazione e la torrefazione.
Queste acquisizioni hanno costituito un significativo rafforzamento del gruppo nel settore del caffè.
«In Italia si può fare industria in maniera competitiva – ragiona Vacchi –. Noi stessi abbiamo fatto rientrare lavorazioni dall’estero perché riteniamo che qui ci siano competenze più alte che altrove».
Marco Bettazzi