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Ima: quest’anno il fatturato è destinato a superare il miliardo e mezzo di euro

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MILANO — Alberto Vacchi – presidente e amministratore delegato di Ima – è stato ospite lo scorso fine settimana del Family Business, il festival Laboratorio delle Imprese familiari, organizzato a Bologna da Corriere della Sera, Aidaf e Università Bocconi.

L’edizione di domenica del Corriere ha ripreso i passaggi più interessanti della sua intervista in un articolo a firma di Rita Querzé, che vi proponiamo di seguito.

Tutto è partito da una bustina di idrolitina , la polverina che negli anni Sessanta ha fatto conoscere agli italiani il brivido delle bollicine.

Un venture capitalist ante litteram

Nonno Luigi Vacchi — che senza saperlo era una sorta di venture capitalist ante litteram, quinta elementare e sguardo che vede lontano — investiva i guadagni della sua attività nelle costruzioni nelle piccole aziende del suo territorio (Bologna e dintorni) che stavano cavalcando l’onda del boom economico.

È con questo spirito che nel 1963 rilevò una Ima ancora in fasce: l’azienda era nata solo due anni prima. Il business consisteva nel produrre le macchine che confezionavano le bustine di idrolitina, appunto.

Poi il giro d’affari si è allargato al tè, ai farmaci, ai dadi per fare il brodo, ai chewing-gum…

L’elenco oggi sarebbe lunghissimo. Anzi, potenzialmente infinito. Perché Ima non produce più soltanto macchine per confezionare ma anche macchine per assemblare.

E visto che qualunque cosa è assemblabile, le potenzialità non si contano. Quest’anno Ima punta a un fatturato da 1,55 miliardi di euro — in pratica raddoppiato rispetto a quello di cinque anni fa. E a 250 milioni di margine operativo lordo.

Per il futuro ha intenzione di bruciare altri record: «Mi sembra realistico pensare che tra cinque-sette anni il nostro giro d’affari possa essere raddoppiato rispetto a oggi», ha detto ieri Alberto Vacchi, presidente e amministratore delegato, durante il Family Business, il festival Laboratorio delle Imprese familiari, organizzato a Bologna da Corriere della Sera, Aidaf e Università Bocconi.

Un successo ottenuto senza delocalizzazioni

Uno dei segreti della crescita di Ima (che non ha mai delocalizzato) sta in una politica di acquisizioni in giro per il mondo. «Sia chiaro — spiega Vacchi — Noi lavoriamo con una logica federativa. Non c’è nessuna colonizzazione. Spesso il socio fondatore resta a gestire l’azienda. Così come l’organizzazione interna non cambia. Per noi è fondamentale che l’imprenditore mantenga il suo ruolo: la logica federativa paga sempre».

Le ultime operazioni, quest’anno sono state l’acquisizione dell’82,5% di Tissue machinery company (58,8 milioni di euro, in questo caso si parla di macchine per il confezionamento di prodotti tissue e personal care). Inoltre Ima ha esercitato l’opzione di acquisto di un ulteriore 31% di Petroncini (8,6 milioni di euro, impianti per la lavorazione del caffè).

È lo stesso Vacchi ad ammettere che nel caso di Ima la famiglia si è dimostrata il miglior alleato. Lungimirante, in particolare, la scelta del padre Marco Vacchi, oggi presidente onorario, di gestire per tempo il passaggio del testimone.

«Mio nonno investì in una industria tecnologica; mio padre fu delegato a gestire l’azienda dal padre prima, dalla madre e dalle sorelle a seguire. Non ho mai sentito di una mancanza di fiducia di rispetto tra loro — racconta Alberto, che dal 2007 assomma le cariche di presidente e amministratore delegato —. Oggi gestisco io, i miei cugini mi hanno dato piena fiducia e per me è primario non deludere le loro aspettative. Oltre a quelle di chi ha investito in Ima attraverso la Borsa».

Rita Querzé

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