MILANO – C’è un’associazione di stampo anglosassone dedicata al caffè che merita di essere conosciuta. Stiamo parlando dell’organizzazione I’m not a barista. Che a molti dei lettori sicuramente dice poco o niente. Ha colpito la nostra attenzione dopo esserci imbattuti in una delle stories su Instagram lanciata da Specialty Pal, che ha voluto aderire a divulgare l’iniziativa. Così, per saperne di più, abbiamo parlato con il fondatore, Micky. Che spiega come la sua associazione sia nata per aiutare i baristi a svolgere il loro lavoro.
L’associazione non ha una sede fisica, anche se ufficialmente risulta registrata a Honk Kong. Operativamente si avvale di diversi volontari che agiscono in remoto dall’Uk, Russia, Italia e altri Paesi sparsi nel mondo.
Uniti nel divulgare una maggiore conoscenza e consapevolezza di che cosa sia davvero il mestiere del barista. Un’attività spesso sottovalutata, considerata di serie B. E che, invece, è una professione a tutti gli effetti. Che per questo va pagata il giusto. E che, come tutte le attività complesse, che richiedono un alto tasso di professionalità, necessita di una formazione continua.
I’m not a barista: cosa c’è dietro il progetto
Innanzitutto le presentazioni: “Il mio nome è Micky e non sono un barista, davvero. Dietro c’è una lunga storia, ma per farla breve: sono solo un coffeelover con una forte passione per la bevanda e il suo mondo. Sono nato in un grande Paese produttore di tè e poi mi sono trasferito in Scandinavia. Quando ero giovane ero un fan di Starbucks e ora eccomi qui: alla guida di una organizzazione Nonprofit che aiuta i baristi nelle loro esigenze.”
Quando e come è nata l’idea di I’m not a barista?
“Ho lavorato all’interno dell’industria caffeicola come direttore marketing nel 2018. Spesso ho parlato direttamente con i baristi e i professionisti del caffè. A volte ho ricevuto addirittura delle proposte di sponsorship da baristi di talento, ma non ho potuto aiutarli a causa di restrizioni nel budget. Mi è dispiaciuto tanto non poterli sostenere e ho sempre desiderato, un giorno, di poter fare di più per loro.
L’idea di iniziare una Npo (organizzazione no profit; n.d.r.) per aiutarli è venuta fuori a metà del 2019. In quel periodo avevo lasciato il mio lavoro e mi ero spostato in un altro Paese con la mia famiglia. Avevo quindi più tempo per riflettere su quello che volevo fare nella mia vita e a quali valori potevo trasmettere agli altri.
Tutto è iniziato intorno alla fine del 2019
Appena ho messo a punto il sito web ho ricevuto con mia sorpresa, il primo ordine da parte di un grande coffeelover da Dubai Uae. Questo ha dato corpo a quella che era una bozza di idea, trasformandola in un piano effettivo. Sono passati tre mesi da allora e sono molto felice di condividere i nostri obiettivi con 2 mila di followers su Instagram. ”
Ci può raccontare l’origine del nome I’m not a barista?
“Sono il tipo di persona che usa molto l’ironia e spesso ho immaginato uno scenario paradossale in cui un barista prepara il caffè indossando una maglietta con su scritto “I’m not a barista” (non sono un barista). Oppure un concorrente che vince un campionato con la stessa battuta stampata sulla t-shirt, che avesse poi l’opportunità di condividere un messaggio in realtà importante.
L’ironia della maglietta potenzialmente può scatenare la curiosità che, a sua volta, può portare al dialogo tra i baristi e gli altri. Credo che questo possa esser un ottimo rompighiaccio per stabilire un primo contatto. Nel mondo del caffè abbiamo davvero bisogno di una migliore comunicazione. I baristi sono coloro che preservano il valore del duro lavoro fatto a monte dai produttori e dai torrefattori. La gente merita di sapere cosa ci sia davvero dietro alla tazzina.”
In Italia la figura del barista è spesso considerata come una professione semplice (chiunque può preparare un caffè): è la stessa cosa all’estero o qualcosa cambia?
“Dopo essermi confrontato con un numero indefinito di baristi e professionisti, penso che sia vero che la nostra società spesso intenda quello del barista come un mestiere che non necessiti particolari abilità. Un lavoro temporaneo svolto dagli studenti o persone senza un miglior impiego.
Penso che in Europa e negli Usa, i baristi siano trattati leggermente meglio se paragonati a quelli nei Paesi di sviluppo. E’ molto difficile cambiare la percezione delle persone e la mentalità senza rompere degli schemi consolidati. Se diciamo “l’Italia è famosa per l’espresso” nessuno troverebbe niente di male in questa affermazione. Eppure, il vero protagonista di questo assioma è il barista, che tuttavia non viene neppure menzionato nel processo.
E’ come dire che la Germania è celebre per le macchine di lusso senza però considerare gli operai delle fabbriche che le hanno costruite e stanno dietro i brand come Mercedes Benz.
Nell’espressione “E’ bello come un’opera d’arte” non pensiamo solamente all’Arte fine a se stessa, ma anche all’artista dietro allo stesso lavoro. Una cosa molto diversa rispetto ai due esempi che ho portato in precedenza. Penso spesso ai baristi come qualcosa di più di una persona che prepara il caffè dietro al bancone. Erogarlo è semplice, ma esser un grande barista significa farne un’arte. E’ necessario saper mantenere un equilibrio tra le esigenze del consumatore e la scienza della bevanda. Un barista non deve lasciarsi limitare nel modo in cui amano il proprio lavoro.”
Qual è la missione di I’m not a barista?
“Aiutare i baristi nelle loro esigenze e cambiare i pregiudizi della società su questo mestiere.”
Come è possibile unirsi alla community?
“E’ semplice: basta amare il caffè e desiderare condividere la propria esperienza rispetto alla bevanda con noi. Non è richiesto alcun titolo da campione o certificati Sca.”
Con I’m not a barista sono in vendita anche degli accessori: come funziona?
“Vendiamo delle magliette brandizzate e delle felpe con cappuccio con la stampa del nostro messaggio. Oppure con la scritta ironica “I’m not a barista”. Il ricavato da ogni vendita e-commerce viene utilizzata per aiutare i baristi che hanno bisogno di una piccola donazione da parte della nostra community.
Per esempio, lo scorso mese abbiamo donato con successo 100 euro al barista greco Tzanetos. Certo, 100 euro non sono tanti soldi per un competitor, ma sapere ciò che si è mosso dietro quella cifra significa molto: abbiamo ricevuto una donazione di 26 euro da un barista del Singapore, e il resto dei soldi arrivano dalla vendita delle magliette in Germania, Russia, Singapore e Messimo. Tzanetos ha così guadagnato centinaia di amici che lo supportano, tutti uniti dalla passione per il caffè. ”
Come pensa che si possa dar un maggior rilievo a questa professione nel mondo?
“Abbiamo bisogno di un maggior sostegno da parte dai grandi influencer nel settore. Come da parte dei campioni baristi, blogger, Youtubers e delle altre Npo/Ngo che si prodigano in iniziative di questo tipo. Ma ancora più importante è poter contare su una base solida di coffeelover e baristi che entrino a far parte del nostro progetto, condividendo le loro storie con gli amici.
La vostra cerchia di conoscenze probabilmente non vorrà sapere tanto rispetto all’ultimo vincitore della competizione per baristi, ma sicuramente saranno interessati a sapere cosa farete voi nel prossimo mese. Se tante piccole storie sul caffè possono coprire 3 o 6 gradi di separazione, allora diffondere la cultura degli specialty coffee sarà un po’ meno difficile. E così cambierà anche la percezione sociale del ruolo del barista. E a sua volta si potrà introdurre il tema ancora più importante delle scorte del caffè sempre più scarse nel futuro. In questo modo le persone potranno percepire davvero il problema e viverlo come una loro responsabilità: insieme si può cambiare qualcosa.
Viviamo in un mondo bombardato dalla negatività, attraverso notizie shock ogni giorno
La gente ormai ci ha fatto l’abitudine e non sente più niente. Ma io credo al potere dello storytelling e che possa ancora risvegliare l’umanità e il buono che c’è in noi. Intanto che gustiamo un’ottima tazza di caffè, possiamo anche dimostrare la nostra gratitudine a chi lavora sodo per servircela. E non solo i baristi, ma anche i tostatori, i trader e i coltivatori.
Online ci sono numerose storie di baristi famosi che possono ispirare. Penso che possano esser motivanti per la maggior parte degli operatori. Tuttavia, anche questi racconti possono sembrare molto distanti alla fine di una giornata di duro lavoro. Credo che i baristi preferiscano le storie di chi si muove vicino a loro, in cui si possano maggiormente rispecchiare.
Per rafforzare questa connessione con i coffeelover, incoraggio le persone ad aprirsi con i propri amici e vicini negli altri Paesi. Per esempio, se si è in viaggio a Singapore e vuoi berti un ottimo caffè, sai già dove andare se sei inserito nella community formata da persone che lavorano senza esser superstar titolati. E’ gente vera, comune, che possono esser amici con cui condividere una buona tazzina. Ecco che la bevanda torna ad esser un legame.”
Con le macchine superautomatiche, il barista sarà ancora necessario?
“Non sono un fissato con la tecnologia e non posso quindi prevedere come le innovazioni cambieranno l’industria del caffè. Ma, secondo la mia limitata conoscenza, credo che l’automatizzazione potrà avere un grosso impatto in termini di efficienza e convenienza senza però poter mai soppiantare il bisogno dell’interazione umana.
Se avete visto il film The Passengers, Simon Pegg recita il ruolo di un barista robot. Penso che oggi la tecnologia sia ancora ben lontana da quei livelli, ma magari in 20 anni sarà realtà: la connessione umana non potrà mai prescindere.”
Programmi futuri per I’m not a barista?
“Al momento ho tanti pensieri rispetto al futuro, a niente ancora di concreto. Siamo ancora nuovi nel settore, ma sono abbastanza sicuro che qualsiasi cosa decideremo di fare, non sarà tanto lontano dalla nostra visione d’insieme: lasciare che il caffè sia un ponte che connette diverse parti del mondo. ”
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