MILANO – Nell’edizione di ieri dell’inserto Affari&Finanza del quotidiano Repubblica è uscito l’articolo che vi proponiamo sugli sviluppi del gruppo Illy, oltre i confini del caffè, di Paolo Possamai.
Il Gruppo Illy è la cassaforte della famiglia e la holding che detiene il 100% di Illy Caffè, oltre alle quote di Domori, Damman Frères, Agrimontana, Grom, Mastrojanni. Le azioni della holding sono ripartite in misura paritetica (23%) tra i fratelli Andrea, Anna, Francesco e Riccardo, rimanendo il 10% alla madre Anna. Il patto di famiglia, rinnovato nel 2010, definisce tra l’altro le modalità di scelta delle cariche, limiti di età e poteri. Nel 2013 saranno a scadenza tutte le posizioni sia nella holding che in Illy Caffè, quest’ultima guidata da Andrea.
Nel 1933 Francesco Illy, che a Trieste era arrivato con la divisa dell’imperial regio esercito durante la prima guerra mondiale e in seguito vi era rimasto, mette la sua firma sotto a un atto notarile, accanto a quella di Roberto Hausbrandt. La carta intestata diceva la missione della società: Industria nazionale caffè e cioccolato Illy & Hausbrandt. Ma in quel giro d’anni Francesco Illy compera pure un’azienda agricola a Buia in Istria, per selezionare frutta di qualità e produrre confetture. Fin qua gli inizi della storia. Poi passa la Storia, e spazza via con le nazionalizzazioni di Tito la presenza italiana in Istria e con essa i progetti di Francesco.
Ma oggi i suoi eredi vogliono riprendere e riannodare quell’antico filo. Lo dice senza remore Riccardo Illy: «Faremo con cioccolata, tè, confetture lo stesso percorso di successo maturato con il caffè. Parlo di affermazione di marchi in una comune cornice di eccellenza». E aggiunge con un sorriso lievemente ironico: «I nostri nipoti, ossia la quinta generazione, potranno dare pieno sviluppo al settore del vino usando il flusso di cassa delle quattro aziende attuali del gruppo».
Parole con cui Riccardo Illy accompagna un orizzonte che lo chiama in causa in prima persona: dopo la sua uscita di scena tre anni fa da governatore del Friuli Venezia Giulia, è rientrato a vestire i panni dell’imprenditore. Ma del caffè si occupa suo fratello Andrea e lui, dunque, si è andato ritagliando il versante delle strategie di crescita del gruppo, le diversificazioni ovvero il ritorno alle origini del nonno Francesco.
Ecco indicato lo scenario per le controllate Domori (cioccolato di alta qualità, acquisita nel 2006), Damman Frères (casa di the francese rilevata nel 2007), Mastrojanni (l’azienda vinicola di Montalcino comprata nel 2008 e condotta da Francesco Illy junior produce 80mila bottiglie l’anno) e per Agrimontana (leader nei prodotti di alta pasticceria come marrons glacés e confetture, al 40%) e per Grom (gelaterie, partecipate al 5% con ricavi 2011 per 22,8 milioni). Riccardo Illy ricorda che nel 1977 la Illy Caffè realizzava un fatturato di 10 miliardi di lire, lavorando meno di 1.000 tonnellate di caffè e con 120 dipendenti.
Lo scorso anno i ricavi sono stati quasi 340 milioni di euro, l’azienda ha tostato 16.000 tonnellate di caffè e i dipendenti sono saliti a quota 500. Il 1977 non è una data scelta a caso: è l’anno in cui Riccardo Illy è entrato in azienda affiancando il padre Ernesto, e vi ha trovato 30 miscele di caffè e la linea Illy’s Tea (tra i primissimi in bustina). Una sola delle 30 miscele di caffè faceva la metà del fatturato. E Riccardo decise di puntare tutto su quella miscela, che si chiamava “la speciale” perché era un unico blend composto da nove tipi di pura Arabica. Tutto il resto viene buttato via, Illy’s Tea compreso.
«Eravamo troppo dispersivi e troppo piccoli», commenta il presidente. Ma adesso il tè è tornato nell’orizzonte aziendale, tramite Damman Frères. E soprattutto dai nuovi business la famiglia si attende nuovo slancio alla crescita. I ricavi consolidati del 2011 sono consistiti in 365 milioni, il budget 2012 supera ampiamente quota 400 (anche per effetto dell’incremento dei prezzi della materia prima), da qui a 78 anni è prevista la soglia dei 500. Gli ultimi dati consolidati disponibili, riferiti al 2010, dicono di ricavi per 333,8 milioni con un margine operativo lordo di 43,8 milioni, un utile di 3,1 milioni, una posizione finanziaria netta di 154,3 milioni.
«Ci siamo trovati in famiglia a discutere di strategie e di futuro industriale. Abbiamo considerato che è difficile continuare a crescere sul caffè con i ritmi degli ultimi 25 anni, perché siamo in una fascia premium price circoscritta in sé. Avremmo potuto adottare anche una linea di caffè di minor prezzo. Ma abbiamo preferito mantenerci coerenti con il profilo top quality, ricercando opportunità in segmenti affini e riscoprendo le origini imprenditoriali di nonno Francesco».
Le basi sono state poste già da qualche anno, spesso cogliendo opportunità offerte da passaggi generazionali o da esigenze finanziarie delle aziende target. Ma le acquisizioni o le partecipazioni non hanno seguito logiche imperialistiche, anzi il management formato spesso da membri delle famiglie fondatrici è stato confermato. Del resto, Riccardo Illy segnala che lo stesso approccio seguono pure Lvmh e Warren Buffett. Ecco che Gianluca Franzoni è tuttora l’anima di Domori, posto che a lui risale la creazione di una aziendariferimento nel mondo del cioccolato gourmet (7 milioni il fatturato 2011). Illy racconta che Franzoni ha identificato e salvato in Venezuela il germoplasma del “criollo”, la più pregiata delle varietà di cacao.
E pare di sentire l’eco della passione dedicata dagli Illy al loro caffè. La stessa passione emerge pure nella narrazione delle tecniche di coltivazione e di conservazione messe a punto dalla famiglia di Enrico Bardini per Agrimontana, che è leader nelle confetture, nella frutta candita e in particolare nei marroni (ricavi 2011 per 12,4 milioni). E così vale per Didier Jumeau Lafond della Damman Frères, prima azienda a introdurre il the in Francia nel 1692 e la prima a realizzare oltre 60 anni fa il the con aromatizzazioni naturali (22 milioni il fatturato 2011).
La strategia di vendita punta ora a accoppiare caffè e tè da una parte, e cioccolato e confetture dall’altra. «Integrazione da cui ci attendiamo risultati importanti. E poi resterà da far crescere il vino, sapendo che è un settore a altissima intensità di capitale e che dalla piantagione della barbatella alla vendita della bottiglia corrono almeno dieci anni», conclude Riccardo.