ROMA – Troppa protezione nel mercato del lavoro è dannosa per l’economia italiana, dice il patron del caffé Riccardo Illy. Ma anche troppa protezione in famiglia.
Secondo l’imprenditore, per combattere questo “protezionismo” va cancellato l’articolo 18 e cambiato anche l’approccio e l’educazione da parte di certi genitori nei confronti dei figli.
Spesso, dice in un’intervista a La Stampa, “è colpa delle famiglie che tengono a casa i figli anziché farli alzare alle cinque del mattino” per andare al lavoro.
Le dichiarazioni hanno generato non poche polemiche. Per molti giuristi del lavoro, il mercato del lavoro italiano non è affatto protezionista e anzi anche troppo “flessibile” non presentando grandi protezioni per i lavoratori in uscita e offrendo troppi lavori temporanei e a progetto in entrata.
«Noi italiani avremmo di tutto – continua Illy nell’intervista al quotidiano di Torino – per uscire dal tunnel. Dobbiamo renderci conto delle nostre potenzialità».
Secondo illy per uscire dalla crisi è importante «diversificazione, qualità e internazionalizzazione” che “erano già nel dna dell’azienda. Mio nonno oltre al caffè aveva cominciato con il cioccolato e con le confetture di frutta. Ma il cioccolato dovette interromperlo all’inizio della guerra, e le confetture alla fine perché le sue piantagioni di frutta erano in Istria e la Jugoslavia le aveva nazionalizzate. Nel 1965 mio padre Ernesto lanciò il tè Illy, che durò fino al 1985».
Poi, per vent’anni, Illy è stata solo caffè. «Nel 2004 ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: prima o poi le vendite del caffè raggiungeranno il plafond. Non vedevamo più margini di crescita. Avevamo due possibilità: o restare solo nel caffè scendendo di qualità e di prezzo per acquisire nuovi consumatori, oppure moltiplicare la scelta di qualità con altri prodotti».
E hanno scelto la seconda opzione: «Ripartendo da due prodotti che avevamo perso: il cioccolato e il tè. Domori e Dammann sono state le prime acquisizioni. Poi Agrimontana. Erano il top per la qualità, il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità».
E della crisi e dei pessimisti dice anche: «Beh, intanto che hanno molte ragioni. Il disastro obiettivamente c’è, e la colpa principale è di ordine politico. Il Paese è governato da troppo tempo in modo mediocre. Ma dico anche che l’Italia ha tanti pregi. Noi abbiamo una propensione unica al mondo per la qualità e per l’ingegno. Nessun popolo ha entrambe le cose. Noi per esempio produciamo bellissimi tessuti e bellissimi vestiti; i francesi solo bellissimi vestiti, gli inglesi solo bellissimi tessuti. E così nella meccanica, nel design, nel mobile, nelle automobili, nell’agroalimentare. Ma sembra che non siamo consapevoli di queste nostre virtù».
«L’Italia -prosegue – ha nel mondo un’immagine straordinaria. All’estero, i più bei ristoranti sono italiani. Troviamo piatti italiani perfino in Francia. Se vai in Cina, ti accorgi che per loro il mito è avere una Ferrari, o un abito di Armani, di Versace, di Ferragamo, o un vino italiano… Ma qui da noi non c’è la percezione di questa nostra eccellenza. Noi italiani pensiamo che in tutto il mondo il cibo, o il caffè, o i mobili o i vestiti siano come in Italia. Solo quando andiamo all’estero ci rendiamo conto che non è così».
«Non sfruttano questi nostri due vantaggi competitivi: la qualità e l’ingegno. E poi c’è un problema di ordine culturale. L’imprenditore italiano ha un livello da terza media. Quando la competizione si fa globale, bisogna crescere, innovare, internazionalizzare. E senza una cultura adeguata non puoi farlo. Resiste troppo, da noi, il vecchio modello “impresa povera, famiglia ricca».
«Credo che la colpa principale sia della legge elettorale. Il maggioritario a turno secco ha reso i governi ostaggi delle ali estreme. Prodi è stato messo in difficoltà da Rifondazione comunista, Berlusconi dalla Lega. L’unica soluzione sarebbe il maggioritario a doppio turno alla francese, che garantisce maggioranze non solo ampie, ma anche coese».