MILANO – Non saprei dire dove nasce il nostro amore per il caffè. Forse è sempre esistito con noi. E’ il luogo. Il momento. Il rifugio. E’ l’angolo consolatorio. Si possono scrivere tante storie su questo amore. E tante di tutti i generi. Io stesso, o meglio il mio io narrante ne ha scritte.
Storie di tutti i generi. Tra vita e finzione. Da quelle più brevi ad alcune da lasciare il segno. Dal sacro al profano, fino al più profano.
Il nostro mondo vive seduto davanti ad un tazza di caffè.
Corre, suda ma quando si ferma e per sedersi davanti ad una tazzina di caffè. Quando proprio il tempo non lo consente: in piedi ma sempre con la tazzina in mano. Tutto è riconducibile ad “un caffè”?
A volte quel caffè riporta ricordi d’infanzia, lontani, persino quando sono amari.
Quando quei ricordi rischiano di farne perdere il gusto. Lo stesso suo odore rammenta quei vecchi ricordi.
Rende certi incontri indelebili. Il caffè è una cerimonia. I vecchi amici vi si ritrovano davanti. Si cementifica un incontro.
Si plaude all’amicizia proprio perché è la scusa per sorseggiare un buon espresso. O, al diavolo tutto, solo per lo stesso pretesto. Si fa tutto per una tazzina. Tutto tranne ammazzare, o forse no. Ma il chicco è sempre fraternizzante. E’ la vera droga.
Ci si ripromette un caffè con un amico lontano.
Che speri di incontrare, o tornare ad incontrare. E allora la scusa di sedersi attorno al bar è la più naturale, anche se la più banale.
Ci si consola dopo un lutto. Persino quando ti trovi in mezzo intrigato anche senza volerlo. E non sai come toglierti dall’impiccio.
Che magari dopo il lutto e le condoglianze, dopo tutto, prima di andare, lo prenderesti anche quel caffè. Capita che la vedova sia tanto sconsolata da scordarselo.
E ti resta l’amaro in bocca. Mica puoi aggiungerci qualche cucchiaino di zucchero. Quello resta.
L’espresso è proprio il massimo.
E’ il rifugio per nascondere un imbarazzo. Perché ad una signora mica lo puoi dire. Figuriamoci se può farlo lei.
Perché le donne non sono tutte come Caterina detta Tina disposte a chiederlo senza giri di parole, papale papale. Così con Lidia alla fine non l’ho mai preso quella tazzina.
Spesso è solo appunto quel pretesto, magari per un’avventura fugace. Perché penso che quella volta Eva in verità si sia fatta circuire per un espresso.
All’inizio non capivo certe sottigliezze. E’ un mio difetto di fabbrica. Mi sembrava assurdo che Carla si spogliasse praticamente nuda per chiedermi se avevo voglia di un espresso. Che Giovanna usasse quella scusa per invitarmi a salire.
Ma frequentando si impara. E’ la vita. E oggi, quando vado da Irene, glielo dico subito che
“l’espresso me lo prendo dopo, a casa”
Diversamente come potrei spiegarlo a mia moglie.
Impari appunto ad usarlo come fosse una metafora. Per dire qualcosa che non puoi o non sai dire. Perché noi maschi siamo fatti così. Per sembrare sembriamo tutti leoni. Spacchiamo il mondo. Poi ci inteneriamo davanti ad un sorriso e una svelata lusinga.
E’ stata lei a dire sulla porta: “Posso offrirti un caffè”? Ma io ottuso: “L’ho appena preso, grazie”. E lei caparbia e indignata del mio rifiuto: “Ma allora sei proprio stupido”.
Al che io, che lo avrei preso volentieri, ma anche per malsana educazione, non mi volevo contraddire: “Come preso”. Ero proprio stupido, allora. Ma ero solo poco più di un ragazzo.
Sopra la sua risata ho cercato di salvare capra e cavoli: “Magari un’altra volta. Magari più tardi”. E lei spazientita: “Mi spiace, sto uscendo”. E doveva ancora truccarsi e finire di vestirsi.
Come con quella mignotta, ma questo molto dopo, che si è sentita lusingata; che ha trovato romantico che le chiedessi:
“Posso offrirle un espresso”? Solo che alla fine esistono perfino donne che non ci mettono malizia. E di quelle è meglio diffidare.
E allora è meglio precisare: “Non ho nemmeno il tempo per berlo”.
Solo che Sonia mica s’è arresa. Mi ha risposto: “Non penserai veramente che ti ho invitato a prenderlo solo per berlo veramente”?
Meglio non pensarci. Non seriamente. Ne sento ancora l’odore in bocca. Uno prima di ogni battaglia. Non c’è donna né altra diavoleria che possa toglierlo all’italiano.
Il caffè resta tutto. Il mattino, ogni mattino che il buon dio, o chi per lui, manda al mondo, la vita stessa inizia col suo borbottio sul fuoco.
Fino a diventare poesia. Perché, come si diceva fin dall’inizio non c’è nulla che funzioni meglio che rifugiarsi in una tazzina di espresso.
Ormai è la nostra filosofia di vita
Cosa viene in mente anche davanti alle più grandi venture se non: “Pazienza, dai. Prendiamoci un buon espresso”? Il massimo è quando lei me lo porta a letto.