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BENESSERE – Il tè delle cinque e la pausa-caffè

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Il tè per gli inglesi è il corrispettivo del caffè per noi italiani: qualcosa di irrinunciabile, energizzante, insostituibile nella vita di tutti i giorni.

Come è un rito quello di servirlo con o senza latte, accompagnato da tramezzini al cetriolo (i preferiti di Lady Bracknell ne “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde), per le cinque del pomeriggio o a cena, così la nostrana preparazione del caffè prevede un prontuario di passaggi fondamentali, declinati per regioni quanto alla densità, attraverso i quali ottenere una aromatica tazzina di caffè, espresso o dalla moka.

Il tè è così importante per gli inglesi, costitutivo della loro essenza british, espressione del loro cerimoniale di belle maniere (a dispetto delle nostre abitudini “concentrate” e più dirette) che anche la stessa letteratura ne è stata ripetutamente influenzata.

“Sotto certi aspetti ci sono nella vita poche ore più piacevoli di quelle dedicate alla cerimonia del tè del pomeriggio.“ diceva Henry James –inglese d’adozione- nell’incipit di “Ritratto di signora” “Dalle cinque alle otto corre talvolta una piccola eternità che, nel nostro caso, non poteva essere che un’eternità di piacere.”

Oggi non possiamo permetterci tali lussi e la venale pubblicità ce lo ricorda opportunisticamente, ma è facilmente comprensibile la sensazione di benessere trasmessa da una corroborante tazza di caffè a metà mattina, per ritemprare dall’impegno lavorativo. Quasi tutti gli uffici hanno una macchina per il caffè e il coffee-break spezza la monotonia di convegni e meeting di lavoro.

Alle diverse varietà di Twinings (che aprì la prima sala da tè londinese nel 1706) rispondono le continentali correzioni della bevanda nera al ginseng, alla nocciola, al limone, d’orzo, fino all’ultimo ritrovato salutista del caffè verde, dalle proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e favorenti il senso di sazietà utile nelle diete dimagranti. In comune hanno il fatto di essere prodotti importati, non autoctoni: il tè dalle piantagioni dell’India e dello Sri Lanka, il caffè dal Medio Oriente e dall’America Latina.

Che cosa sarebbero i romanzi di Miss Austen, delle sorelle Bronte e di Charles Dickens senza le scene di tè pomeridiano? Il tè è così frequente nella letteratura di Jane Austen che Kim Wilson ha pensato di scrivere un libro sull’argomento, A tea with Jane Austen, completo di ricette risalenti al XIX secolo, citazioni dai romanzi e aneddoti sulla vita della Austen.

La Wilson scrive: “Nei suoi romanzi, è il tè ad essere al centro di ogni avvenimento sociale. Forse in “Emma” Miss Bates beve il caffè? Ma certo che no: “Per me niente caffè, vi ringrazio… non prendo mai caffè. Un po’ di tè, per favore.” In “Ragione e Sentimento” cosa stanno bevendo tutti quando Elinor nota il misterioso anello di Edward con la ciocca di capelli? Tè, naturalmente.

E in “Orgoglio e Pregiudizio” qual è uno dei supremi onori che secondo Mr. Collins Lady Catherine potrebbe concedere Elizabeth Bennet e alle sue amiche… se non quello di invitarle per il tè?”

Ma alla maggior parte delle persone il binomio tè – letteratura fa venire in mente il delizioso e bizzarro “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll.

“Prendi un altro po’ di tè,” disse la Lepre Marzolina ad Alice, con estrema serietà.

“Non ne ho avuto ancora,” rispose Alice offesa, “perciò non posso prenderne di più.”“Intendi dire che non puoi prenderne di meno,” disse il Cappellaio, “è molto facile prendere più di niente.”

Una fantastica parodia del chiacchiericcio raffinato da ora del tè. Tutti parlano, ma nessuno ascolta o capisce una parola di ciò che gli altri dicano. Scrivendo frasi visibilmente prive di senso Carroll ci fa riflettere sull’inconsistenza dei convenevoli con cui ci intratteniamo ogni giorno.

Di tutte le scene sul tè contenute nelle opere di Dickens le più tormentate sono quelle tra Pip ed Estella in “Grandi Speranze”. “Qualunque fosse stato il suo modo di comportarsi verso di me” riflette Pip durante uno dei loro incontri al ristorante, “mai era stato tale da darmi fiducia o farmi nutrire delle speranze; eppure continuavo contro ogni fiducia e ogni speranza.

Perché ripeterlo migliaia di volte? Era sempre così. ” Chiama poi il cameriere, che porta “in successione una cinquantina di componenti accessori, ma di tè neppure l’ombra.” Ciò che finalmente compare è “uno scrigno dall’aspetto prezioso contenente dei rametti. Li immersi nell’acqua calda, e così da tutto quell’armamentario ricavai una tazza di non so che per Estella.

” Gli servirà molto più che del buon tè per vincere l’amore della ragazza. Questa particolare angoscia causata da problemi di cuore (e dall’abuso di teina) può essere ritrovata anche nell’opera di T.S. Eliot. Ne “Il canto d’amore di Alfred J. Pufrock” un’ode alla non-azione e alla paralisi, il tè è ovunque.

Si inizia a parlare d’amore mentre si è seduti a tavola per un tè:
Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un tè col pane abbrustolito.
…Potrei, dopo il tè e le paste e i gelati,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?

Poesia sull’insicurezza e sui dolorosi rimpianti, due malattie dell’animo che forse nemmeno una confortante tazza di tè può curare. Ma il tè può essere anche occasione simpatica estratta da una delle lettere del genio inglese Sydney Smith, datato 1807:

A Bath è scoppiato un tremendo dibattito: per dolcificare il tè sono meglio le zollette di zucchero o lo zucchero a velo? Così le peggiori pulsioni dell’animo umano si sono scatenate e hanno dato vita alle due correnti degli “zollettisti” e dei “velisti”.

Ci fu chi si interrogò forse per capriccio sulle eventuali differenze tra queste due bevande. Nel 1771, in Svezia, il re Gustavo III volle verificare scientificamente se il caffè giovasse o meno alla salute. Per far ciò, si servì di due gemelli detenuti nelle carceri svedesi per omicidio. Dopo avergli commutato la pena di morte in ergastolo, impose loro la consumazione di tre tazze di caffè al giorno per uno e di tre tazze di tè l’altro. Pare che invecchiò meglio il gemello che fu costretto a bere tè, il quale si spense ad 83 anni.

La somiglianza diventa singolare perché entrambi si prestano a sperimentazioni e speculazioni più che azzardate: il caffè Kopi Luwak, fatto con gli escrementi del Musang, un gatto scoiattolo, noto come la civetta delle palme, che vive in Asia: la bestiola si nutre dei chicchi di caffè e li espelle, sotto forma di feci, dopo averli digerite. Una volta sterilizzati e lavati, i chicchi vengono lavorati per ottenere un caffè dal costo di 133 dollari all’etto.

In Cina stanno studiando un metodo simile per ottenere il tè a partire dagli escrementi del panda. L’idea arriva dagli studi di An Yashi, docente ed esperto di natura dell’università di Sinchuan che ha creato un insolito tè: secondo il docente il panda ha un sistema digestivo che non assorbe tutto ciò di cui si nutre e i suoi escrementi conservano molte sostanze nutritive che poi vengono usate per il tè. Il tutto per circa 58mila euro al chilo.

Uniti, nella buona e nella cattiva sorte.

Fonte: informazione tv

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