domenica 22 Dicembre 2024
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Il signore del caffè con la tecnologia integrata rifornisce il mondo

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MUZAMBINHO (Brasile) – Crésio Antônio de Oliveira ha imparato l’arte del caffè dal padre e quando racconta della crescita della sua piccola fazenda, in questo pugno di terra a Muzambinho nel cuore del Brasile, non può nemmeno immaginare di essere un simbolo. Per le novità della tecnologia.

Quando negli anni Ottanta lavorava il caffè con il padre e il fratello, la famiglia aveva tre ettari. Oggi, pur rimanendo un piccolo produttore, ne controlla venti e cresce di anno in anno.

La storia di Crésio è un simbolo nel mondo che rincorre una popolazione di dieci miliardi nel 2050, che vuole ridurre la quota di persone denutrite, e che, tra l’altro, beve sempre più caffè.

Nel primo produttore al mondo, il Brasile, l’agricoltura è il primo datore di lavoro, garantisce il 23% del Prodotto interno lordo e il 46% delle esportazioni.

Due numeri raccontano l’evoluzione in atto: nel 1996 l’area coltivata del Paese era di 36,3 milioni di ettari e la produzione era di 78 milioni di tonnellate.

Nel 2015 l’area ha raggiunto quota 58,5 milioni e la produzione 210 milioni. Significa che l’area è cresciuta del 61%, la produzione del 169%.

L’acceleratore è la tecnologia che protegge le piante e riduce la malattie, la ricerca in tempo reale sul terreno che anticipa i problemi.

I tempi si accorciano: negli anni Ottanta, quando Crésio coltivava caffè col padre, una piantagione dava i suoi frutti dopo sette anni, ora siamo scesi a due.

Per arrivare alla nuova piantagione bisogna volare fino a San Paolo, sfidare il traffico infernale, riprendere il volo per la regione centrale del Minas Gerais e comprendere il significato della bandiera verdeoro solo a guardare l’orizzonte.

Poi, a Muzambinho, le piantagioni sono ovunque, sfrecciano accanto alle strade, le piante sono di un verde acceso, filari stretti come cespugli sulla terra rossa.

Il nuovo campo, seminato nel dicembre del 2015, sta per dare i suoi frutti.

Crèsio sembra soddisfatto, racconta che la sfida più complicata è il clima, “perché la pioggia è meno frequente di un tempo” e qua sistemi di irrigazione non si vedono. “L’agricoltura è un rischio”, dice calmo Crésio. E se non piove? “Preghiamo dio”.

Da qui al momento della raccolta, i chicchi partiranno in sacchi, fino alla tazzina. In mezzo, e prima, con l’analisi del terreno e la consulenza tecnica, c’è un processo che ha reso Cooxupé (nella FOTO la sede centrale) la prima cooperativa di coltivatori di caffè, e il primo esportatore del Brasile. Otto membri su dieci sono famiglie come quella di Crésio.

Alla fine del 2016 i sacchi da sessanta chili ricevuti dai coltivatori sono stati 6,2 milioni, con ricavi a quota 1,1 miliardi di euro. I grandi marchi del caffè internazionale, da Nespresso a Starbucks a Illy comprano il caffè da Cooxupe.

In ogni capsula di Nespresso c’è almeno un 10% di caffè arrivato da qui. Con un sacco si possono ottenere 10mila capsule. Seimila tazzine di caffè espresso o quattromila caffè americani.

Il prezzo è stabilito dal mercato. Quando i sacchi di verde di Crésio arrivano alla cooperativa gli operatori lo analizzano per l’aspetto e il profumo, prima di degustarlo. Luis lavora come assaggiatore di caffè da quando aveva 14 anni.

I chicchi tostati vengono disposti su un tavolo rotante. Una signora versa dell’acqua bollente e Luis si prepara.

Gli assaggi vanno fatti su cinque tazzine dello stesso lotto, Luis ha un cucchiaio e si avvicina. Con una mano assaggia, con l’altra fa girare il tavolo. La sua decisione rende uniformi i lotti, nei fatti darà vita al caffè delle nostre colazioni.

Con venti ettari Crésio potrà produrre circa 520 sacchi all’anno. Ai prezzi dal 2016, 144 dollari al sacco, il ricavo lordo sarà di 74mila dollari, più che sufficiente a mandare avanti l’impresa e la famiglia, considerato che il salario medio mensile in Brasile è di 631 dollari.

La domanda che la storia di Crésio pone al mondo, però, riguarda la sostenibilità del modello. La storia di Crésio si può ripetere senza danneggiare la natura, e dunque la ricchezza dell’uomo?

La tecnologia ha permesso di capire quando è necessario intervenire, riducendo per esempio le dosi di fertilizzanti e pesticidi.

«Prima l’equilibrio sociale poi i prodotti chimici»

Il vicepresidente per l’America Latina di Basf, il grande gruppo della chimica tedesco, Eduardo Leduc, parla prima di “equilibrio sociale” e poi di prodotti chimici.

“Devi avere la tecnologia, ma prima viene un equilibrio sociale, altrimenti la crescita può impattare la natura – dice Leduc parlando a San Paolo -. In Brasile il conflitto c’è stato, in passato. Ma adesso la gente ha capito che è possibile migliorare la produzione agricola senza rischiare”.

Integrazione tra metodo biologico e chimica

Il primo obiettivo da raggiungere ha a che fare con una consapevolezza. Avremo bisogno di più cibo perché la popolazione mondiale cresce. La parola più ripetuta è integrazione, tra metodo biologico e chimica.

«Il biologico più sostenibile? Non è per forza vero»

“La società ha la percezione che il biologico sia più sostenibile. Anche se non è per forza vero”. dice il vicepresidente di Basf. Aggiungendo: “Quindi gli investimenti si spostano”.

Nella transizione, però, dice Leduc, “abbiamo realizzato che il biologico può aiutare il chimico. Ci può essere una giusta combinazione”.

La parabola ricorda quell’integrazione necessaria tra umano e Intelligenza Artificiale. Tecnologia che oggi puntualmente emerge in ogni campo della società.

Se la crescita della tecnologia è esponenziale forse il figlio di Crésio non avrà quaranta ma sessanta ettari. E controllerà dal telefono la qualità del terreno. Mentre un tir senza guidatore porterà i sacchi alla tostatura.

Dopo tutto, due volte al giorno, sarà ancora il momento per un buon caffè.

Beniamino Pagliaro

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