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sabato 02 Novembre 2024
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Il racconto del Bar di Lazzaro: dolce senza zucchero

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C’era una volta un Bar. E c’era una volta un uomo. Il bar era il Bar Pesa (c’è ancora), l’uomo si chiamava (si chiama) Lazzaro. E poi c’era una macchina per fare il caffè. Una macchina che cominciava a funzionare prima del sorgere del sole e continuava tutto il giorno fino a quando la notte si scioglieva fondendosi nell’alba del giorno dopo.

Il primo ricordo che ho del Bar Pesa è il gelato che avevano: un gelato al profumo del Crèm Caramel. Un gusto unico in città, negli anni ’70 del secolo scorso, un gelato realizzato con una ricetta segreta, con un sapore intenso come solo la memoria dell’infanzia può cucinare. Il Bar era di fianco alla Pesa pubblica, quella che certificava i commerci in tempi in cui l’agricoltura era ancora dei contadini. Contadini che venivano in città e, mentre la Pesa pesava le loro merci, potevano prendersi il meritato caffè di Lazzaro: l’uomo che guidava la sua macchina del caffè come Nuvolari la sua automobile.

Proprio di fronte alla Pesa e al Bar ci stava la via Emilia, quella via Emilia che attraversava i centri delle città prima che arrivassero le circonvallazioni e le autostrade. E in una città senza ancora autostrada, le domeniche d’estate, il Bar Pesa diventava la stazione di sosta a mezza via tra Bologna e il mare. Una pausa che ancora manteneva la memoria dell’odore, del puzzo anche, dei cavalli da poco sorpassati dalle automobili. Una sosta che presto sarebbe divenuta rapidissima in qualche autogrill anonimo dell’A14, ma che ancora in quel luogo celebrava il tempo lento della stazione di Posta che per secoli aveva ritmato i viaggi e i commerci. Ma un giorno Lazzaro si è stancato di alzarsi all’alba; si è stancato di ragionare con clienti sempre più impazienti e spazientiti, e si è messo in pensione. Lo si incontra ancora qualche volta lungo il Viale della Stazione, lì vicino al suo Bar. Chissà cosa pensa nelle sue passeggiate. Sono sicuro che gli manca l’aroma del caffè, il profumo che anticipava il gusto nero di quel caffè buono che faceva lui, quel caffè che ti versava in una tazzina infuocata da non riuscire a tenerla in mano. Un caffè denso e bollente, era il suo. L’aroma del caffè L’aroma del caffè alimenta la memoria, la nutre.

È sufficiente socchiudere appena gli occhi e la scena si apre su una mattina di qualche anno fa, non era ancora l’alba, poco prima di partire per un viaggio verso un luogo lontano, ma lontano davvero, da quel Bar e da quella Pesa. L’atmosfera era speciale: il sospiro del vapore della macchina del caffè già accesa, la giacca bianca di Lazzaro non del tutto abbottonata, il suo sguardo mezzo addormentato e il mio zaino appoggiato a terra. Il viaggio era già iniziato e io non ero ancora partito, per farlo aspettavo il caffè di Lazzaro. E intanto respiravo tutto il buono che quel posto così “vecchio”, così antimoderno continuava a emanare. Ecco. Il Bar della Pesa era uno di quei posti dove ogni giorno iniziavi un viaggio, una chiacchiera, una discussione. Oppure raccoglievi un pettegolezzo, una boiata, un’anticipazione del consiglio comunale…

L’altro giorno mi sono fermato di nuovo al Bar Pesa. Era un po’ di tempo che non ci passavo. Il bar ha cambiato gestione già da qualche anno, ma fino a poco tempo fa era rimasto “vecchio” come era una volta. Lazzaro non c’era più, ma la macchina per il caffè sì. Le pareti non intonacate di fresco erano impregnate dell’aroma delle storie di tutti quelli che erano passati da lì. Il trapasso verso la nuova gestione era stato indolore anche per i nostalgici come me. Sì, molte cose erano cambiate. Gli orari sono diventati più “umani” per chi ci lavora ora. Non si apre all’alba e non si chiude a notte fonda, ma il resto – più o meno – era rimasto come prima. Ma dall’altro giorno no. Tutto è cambiato. L’intonaco è fresco, i colori vivaci e rifatti, le sedie, quelle belle sedie “vecchie” di legno, su cui tanti culi si sono seduti, sostituite da moderne sedie di plastica. Mi sono guardato intorno un po’ stranito. Non lo riconoscevo più quel posto. Come uno che si sveglia dopo tanto tempo, dopo tanti anni, e si guarda intorno e non riconosce più il mondo come è diventato. Sì lo spazio è più o meno quello, le persone anche, ma è cambiato tutto.

Il colpo al cuore, però, è arrivato quando ho alzato lo sguardo: sopra la macchina del caffè di Lazzaro, al posto della mensola coi liquori, ora c’è un orologio enorme, tutto grigio e tutto digitale, di quelli che ti dicono le ore con i numeri quadrati e non con le lancette; quegli orologi che ti fanno anche le previsioni del tempo. E ci prendono. Ai tempi di Lazzaro e della sua macchina per del caffè a fare le previsioni del tempo c’era solo Bernacca alla televisione, e spesso si sbagliava. Ma il mondo tirava avanti uguale. Forse non meglio, di sicuro non peggio. Un colpo. È stato un colpo. L’aroma del caffè è incompatibile con il mondo digitale. Con i circuiti elettronici, con i computer e le altre diavolerie che regolano tutto il nostro mondo.

La differenza tra un caffè “come si deve” e un caffè anonimo la fa la sensibilità del macchinista e, soprattutto, di come dialoga con la sua macchina. Prendere il caffè da Lazzaro era come assistere a una gara di Nuvolari: un’esperienza unica in cui l’uomo e la macchina erano avviluppati insieme come un tutt’uno. Il rapporto tra l’uomo e la macchina portato a livelli che solo certi progettisti, e tecnici, delle aziende meccaniche che si trovavano sulla via Emilia possono raggiungere. Quelli che hanno fatto grandi quelle aziende che danno ancora filo da torcere ai tedeschi, che a loro ancora gli prude. E forse è anche per questo che adesso i teutoni fanno i primi della classe con ‘sta storia del debito pubblico. Non è la prima volta che gliel’abbiamo dovuta spiegare ai tedeschi di non darsi troppe arie…

Mi ricordo ancora certi racconti di mio nonno, ma quella è un’altra storia. L’arte di Lazzaro Questa, invece, é la storia di un bar, di un uomo e della sua macchina per fare il caffè. Tutti sono capaci di fare del buon caffè con una buona macchina, e tutti sono capaci di fare dei bei progetti con un bel computer e un po’ di nozioni imparate all’università. Ma l’arte? L’arte, quella no. L’arte è quella roba che te rimani a bocca aperta perché il tecnico con la sua macchina fa qualcosa di imprevedibile, oppure tira su un monumento che sta in piedi anche se la matematica dice che non è possibile. Ecco. Il caffè di Lazzaro era un’opera d’arte.

Ora invece il caffè è buono, le persone al banco sono gentili, il luogo è accogliente, ma l’esperienza non è più quella. E non potrebbe essere altrimenti. Sono io che m’invecchio e cerco di addolcire i ricordi. Come fanno quelli che del caffè non capiscono niente e lo riempiono di zucchero. Io il caffè lo prendo nudo. E continuo a prenderlo anche se il dottore dice che mi fa male. E c’è un motivo: in ogni tazzina cerco ancora quel retrogusto dolce e nutriente che aveva il caffè di Lazzaro quando lo prendevi senza zucchero.

PS La città dove si svolge questa storia non è importante: purché sia in Romagna.

 

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