MILANO – “Il consumo dell’aspartame e gli eventuali rischi per la salute sono tenuti sotto continuo e costante controllo. E il consumatore è ben tutelato dagli organismi internazionali che se ne occupano”. Come l’Efsa, l’agenzia per la sicurezza alimentare europea che dall’1 al 3 febbraio si occuperà ancora dell’argomento, con un parere dei suoi esperti.
Lo studio contro l’aspartame
Lo spiega Andrea Poli, direttore scientifico del Nutrition Foundation of Italy (Nfi), associazione non profit che si occupa di alimentazione salute, che interviene sui recenti allarmi legati alla sicurezza del dolcificante, messo sotto accusa da un nuovo studio dell’Istituto Ramazzini, pubblicato a dicembre dell’American Journal of Industrial Medicine, secondo cui l’aspartame aumenterebbe i rischi di tumori al fegato e al polmone.
Poli, però, critica la metodologia dello studio e le dosi utilizzate. Il metodo, infatti, “ripropone quello utilizzato nella ricerca (sempre dell’Istituto Ramazzini)” che lanciò il primo allarme qualche anno fa e che la comunità scientifica ritenne non accettabile. In particolare l’esperto sottolinea che nel corso dei test “gli animali vengono esposti all’aspartame sin dal dodicesimo giorno della gestazione, poi vengono lasciati vivere tutta la loro vita naturale, rilevando i tumori con l’autopsia finale”.
“Tutti gli studi di carcinogenesi, invece, sacrificano gli animali dopo un certo periodo. La differenza non è marginale perché alla fine, in questo studio dell’Istituto Ramazzini, dal 50% al 60% degli animali, anche nel gruppo di controllo, aveva sviluppato tumori. Questo perché nella fase geriatrica è facile la comparsa di lesioni tumorali”.
L’esperimento
C’è poi un problema di dosi che nella ricerca sono state somministrate, a tre diversi gruppi di topi, in quantità differenti. “Le due dosi che determinano un significativo aumento dei tumori raggiungono – spiega Poli – i 4 grammi pro chilo e i 2 grammi pro chilo. Per un uomo di 70 chili vorrebbe dire mangiare 80 grammi di aspartame. E se si calcola che il potere dolcificante di questa sostanza è circa 180 volte quello dello zucchero, sarebbe come se si consumassero 5 chili di zucchero. Dosi oggettivamente al di fuori di qualunque logica”.
Mentre la dose giornaliera massima, fissata da Efsa e Fda, “è uguale a 50 mg pro chilo. Nello studio dunque è stata utilizzata una dose 100 volte maggiore rispetto ai limiti accettabili. Io credo che bisogna aspettare con fiducia il parere dell’Efsa prima di lanciare allarmi, gli esperti daranno risposte puntuali e approfondite”, conclude Poli sottolineando che, per quanto riguarda la tutela dei consumatori, “siamo in buone mani”.