MILANO – “Quattro o cinque tazzine di caffè al giorno, anche decaffeinato, riducono la mortalità cardiovascolare in follow up che vanno da 10 a 18 anni. A lungo termine, bere caffè ha un effetto positivo”.
Analoghi effetti positivi sulla salute del cuore, seppur di più lieve entità, si riconducono all’assunzione di cioccolato fondente all’85-90%.
Lo sostiene Sebastiano Marra, direttore del Dipartimento Cardiovascolare del Maria Pia Hospital di Torino che il 27 e 28 ottobre ha ospitato le XXIX Giornate Cardiologiche Torinesi “Advances in Cardiac Arrhythmias and Great innovations in Cardiology”.
Al Centro Congressi Unione Industriale sono stati ospiti oltre 600 partecipanti e 100 relatori. Tra i quali i cardiologi della Mayo Clinic di Rochester (Minnesota) e i maggiori esperti europei provenienti da Germania, Francia e Svizzera.
Un concentrato di antiossidanti
“Il chicco di caffè – spiega Marra – è la sostanza con più antiossidanti esistente in natura”. Quest’anno, il meeting è incentrato sulla prevenzione. “Certamente possiamo affermare che negli ultimi vent’anni abbiamo a disposizione nuovi farmaci, nuove tecniche chirurgiche, che indubbiamente hanno ridotto la mortalità. Ma per tre quarti il merito è della prevenzione – aggiunge Marra – ed è principalmente su questo fattore che noi medici dobbiamo impegnarci”.
Ma oltre alla coscienza dei fattori di rischio, altro punto determinante è la conoscenza di ciò che fa bene alla salute del nostro cuore e dell’organismo in generale. In questo senso la novità più’ interessante, e per molti versi inaspettata, è costituita proprio dal caffè.
“Esistono dati – conclude Marra – su oltre 10mila individui che rivelano che chi assume caffè, su lungo periodo, ha meno ansia, dorme meglio, non ha la pressione più alta rispetto a chi non lo beve. Uno studio francese che ha analizzato oltre 200mila persone, su un periodo di 8-10 anni, riferisce dati positivi sulla mortalità. I dati piemontesi confermano che chi beve caffè ha un umore migliore, meno ansia, riposa meglio, non ha pressione o colesterolo più alti”.
A cura di Antonella Petris