Gianluigi Goi è un lettore nonché giornalista specialista di agricoltura affezionato a queste pagine che con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi risponde all’invito che il giornalista Luca Mastrantonio ha rivolto ai lettori del suo “Ufficio Poesie Smarrite” su Sette del Corriere della Sera sollecitati a segnalare poesie che danno spazio al caffè. Leggiamo di seguito i suoi suggerimenti e considerazioni.
Le poesie al sapore di caffè
di Gianluigi Goi
MILANO – “Capita a tutti di perdere o non trovare un qualsivoglia oggetto e di essere presi da senso di frustrazione o di ansia per le conseguenze negative, a volte anche gravi, di una semplice banalissima distrazione.
I cosiddetti “Uffici Oggetti Smarriti”, tipico corredo di stazioni ferroviarie, aeroporti con classica sequela di imprecazioni, sono luoghi-non luoghi come usa dire oggi che è meglio evitare. Per quanto possibile, anche per salvaguardare l’integrità delle coronarie.
Ma, come sempre, c’è un ma che si evidenzia – e si fa notare per i colori e i suoni che trasmette a chi li cerca e li ascolta con un minimo di attenzione – sotto l’insegna “Ufficio Poesie Smarrite” da anni ospitato nelle pagine, tanto cartacee che digitali, del magazine settimanale “Sette” del Corriere della Sera.
Il deus ex machina, anfitrione, direttore e tutto ciò che viene in mente al lettore, di questo format in versi risponde al nome di Luca Mastrantonio che di questa rubrica che fa tanto bene alla poesia senza aggettivi, è l’eccellente mentore.
Giornalista, scrittore, autore teatrale, Mastrantonio ha la rara capacità di mettere a suo agio il lettore incasellando, nelle sue essenziali e non banali presentazioni, le parole giuste al momento giusto lasciando poi a chi legge l’onore e l’onere delle considerazioni finali.
Di recente (a memoria nel mese di dicembre da poco passato) ha scritto, confessando i patemi d’animo legati alla preparazione della sua newsletter quando, a tarda sera, c’è il rischio “che parta da sola con i vecchi testi” ma né e per così dire contento perché “sotto sotto immagino che questo (mio) bacio della buonanotte, scritto prima di andare a dormire, diventerà un caffè del buongiorno per voi, amaro, dolce, corretto, liscio, macchiato caldo”.
Eccola la “confessione al caffè” esplicativa dell’invito rivolto ai lettori e frequentatori dell’”Ufficio” ad inviare versi e componimenti dove il caffè, nel suo insieme, è presente e/o protagonista.
È, questo, l’aspetto importante e pregnante che ci preme qui sottolineare: che una vetrina delle più importanti dedicata alla poesia, delle non molte oggi presenti nei media italiani, richiami esplicitamente l’attenzione sul composito mondo che il caffè rappresenta.
Non a caso – cerchiamo di esemplificare il concetto con una citazione letterale – una poetessa non banale come Eleonora Belbusti accompagna alcuni suoi versi sottolineando che “è straordinario come una bevanda così comune come il caffè possa sprigionare in chi l’assapora un mare di emozioni, sensazioni e desideri .. Ho provato a racchiuderle in qualche verso”.
Questi: < La tua presenza è costante, / impigliata tra le ciglia / nel lungo attimo del risveglio, velata nel sottile confine / tra tenebre e aurora, / amara nel caldo alito / del primo caffè>.
La tarantina Mara Venuto, poetessa e autrice di monologhi teatrali, “vorrei tanto avere anch’io una poesia per quel tintinnio di un istante, la tazzina sul comodino di suo padre …”:
<Tra le carte del padre / nel cassetto chiuso a chiave / non giace nulla di osceno / nulla di rinunciato. /Lo sguardo del figlio è un muro, / c’è da pensarci.>.
Se mi è concessa una piccola chiosa personale, ai baristi e ai sommellier del caffè che con sempre maggiore frequenza propongono spiegazioni e illustrazioni delle diverse tipologie di caffè serviti, l’invito a non dimenticare e anzi a rimarcare il potere evocativo del caffè con piccoli riferimenti agli usi e usanze tradizionali, agli aneddoti e alle curiosità riferite a celebrità o personaggi conosciuti, il tutto condito, di quando in quando, con un verso di quelli “giusti”: non di rado sono indelebili”.
Gianluigi Goi