MILANO – Il caffè occupa un posto di rilievo nella cultura italiana e artistica. La tazzina d’espresso rappresenta un rito quotidiano per milioni di persone in ogni angolo del mondo. Ciò si riflette anche sul cinema e sulla settima arte in cui il caffè viene usato come strumento per approfondire la psicologia e la personalità dei personaggi nonché come vero e proprio oggetto di trama che fa muovere l’intreccio narrativo della storia proposta.
Basti pensare all’irrefrenabile passione per il caffè del detective Cooper di Twin Peaks o agli incontri di Tony Soprano con i suoi colleghi di fronte a una tazza di espresso. Riportiamo di seguito l’articolo di Karolina Kaliszczyk per il portale Gazzetta Italia, un sito polacco con articoli disponibili anche in lingua italiana.
Il caffè nel cinema
MILANO – Lanci la prima pietra chi non inizia la giornata con un caffè, o non lo sfrutta come un’occasione per vedere un amico e non crede alle sue proprietà energizzanti.
Tutti questi aspetti mostrano quanto il caffè sia onnipresente nelle nostre vite: è una specie di simbolico accordo internazionale.
E così raggiunge l’arte, compresa la cinematografia. Anche se può sembrare che il caffè sia solo una componente casuale, facile da eliminare, in realtà dopo un’analisi approfondita si capisce che è uno strumento per creare un’atmosfera particolare.
Gli incontri in un bar davanti a una tazzina di caffè spesso risultano un pretesto per introdurre gli elementi cruciali nella trama.
Ripensando ad alcune pellicole che mostrano questo utilizzo del caffè il primo che ci viene in mente è l’iconico film di Jim Jarmusch intitolato “Coffee and cigarettes”.
Il caffè come identità nazionale nell’arte cinematografica
Non solo la presenza dell’attore e regista Roberto Benigni, premiato con il premio Oscar “La vita è bella”, è rilevante nella produzione di Jarmusch, ma il regista cattura perfettamente il valore sociale del caffè, in questo caso associato alle sigarette.
Il caffè, soprattutto l’espresso, è associato con il Belpaese. Lo riflette perfettamente lo slogan di Lavazza, uno dei più riconoscibili marchi nel mercato mondiale del caffè: “Perché abbiamo imparato a essere italiani dal caffè”. Frase che suggerisce che gli italiani non solo hanno un forte legame con questa bevanda nera ma addirittura la trattano come fondamento della loro identità nazionale.
La settima arte perpetua tale usanza attraverso diverse forme che lo mostrano in vari contesti. In questo senso interessante è l’abitudine dei più pericolosi criminali di bere caffè.
Mettendo insieme due elementi fortemente associati con l’Italia ovvero la mafia e l’espresso si arriva ad un risultato grottesco: i mafiosi sembrano più docili dopo il caffè. Il vizio dei protagonisti di bere caffè spesso illumina i mondi oscuri.
Lo osserviamo ad esempio nell’acclamato film di Marco Bellocchio “Il traditore” (2019), quando il giudice Falcone interroga l’arrestato Tommaso Buscetta. La scena è pesante e difficile, si scontrano due mondi reciprocamente ostili.
Questa conversazione farà la storia perciò bisogna condurla in modo sia prudente che astuto. Falcone vuole mostrare al pentito il suo atteggiamento amichevole quindi gli propone un caffè e una sigaretta.
L’importanza del caffè: da I Soprano a Mulholland Drive
Grazie a questo gesto l’interrogatorio diventa meno formale. Buscetta comincia a collaborare riconoscendo nel giudice un certo filo di comprensione. Falcone parla a Buscetta alla pari, il denominatore comune, ovvero l’espresso offusca il confine tra i personaggi così differenti. Ancora una volta il rituale di caffè svolge un ruolo inestimabile.
Una situazione analoga avviene nel film “I cento passi” (2000) di Marco Tullio Giordana, quando un membro di Cosa Nostra con il pretesto di aver voglia di bere un caffè arriva al bar gestito dall’amico di Peppino Impastato, attivista e giornalista di sinistra che denuncia regolarmente le attività mafiose durante le sue trasmissioni alla radio. Il nemico appare improvvisamente nel bar vuoto chiedendo un caffè. Mentre gli amici sono allibiti e senza parole, l’uomo si avvicina alla macchina del caffè da solo e dice: “Perché nella vita bisogna saper fare tutte le cose, anche il caffè e il caffè, lo so fare.”
Mafia e caffè nell’immaginario collettivo
Così si scopre che il mafioso, che incute paura, inizia i negoziati con il caffè. Questa scena con tutte le sue circostanze sembra irreale e assurda da un lato, ma dall’altro spinge lo spettatore al passo successivo ovvero alla comprensione di quanta forza ha questa tradizione che unisce tutti gli italiani.
Pensando al caffè si arriva anche alla serie “I Soprano” (1999- 2007) di David Chase, anche in questo caso l’espresso è un elemento fondamentale. Infatti, i membri della mafia, guidati da Tony, chiacchierano sempre nel loro bar preferito sorseggiando un caffè tanto nero quanto i loro affari. Dopotutto è così che gli vengono le idee migliori.
Questa bevanda non solo è un pretesto per il raduno tra gli amici ma si crede fortemente nelle sue proprietà stimolanti la mente che poi garantiscono grandi successi negli affari.
Un vero gioiello è inoltre “Mulholland drive” (2001) dove Angelo Badalmenti ricopre il ruolo del gangster-conoscitore del caffè italiano. In una scena cult assaggia il caffè che gli hanno offerto e lo sputa subito dopo su un tovagliolo bianco maledicendo che era acido e troppo acquoso. Tuttavia, di nuovo siamo incantati da questa manifestazione satirica ma calorosa del sentimento verso il caffè.
Il caffè come forza creativa nell’arte
Questa immagine cinematografica colpisce anche gli stessi italiani che ammettono che solo la pellicola sia in grado di rispecchiare il loro amore grande e incondizionato per il caffè. Il cinema sottolinea con straordinaria potenza che il caffè è parte integrante della loro identità, in cui si racchiudono i rituali di benvenuto, i gesti d’amore e di vita sociale. E quindi non siamo sorpresi da tale legame se perfino i capi mafiosi non possono vivere senza 60 ml di espresso.
Ma possiamo anche chiudere senza la mafia, sottolineando che è il caffè a far girare il mondo.