MILANO – Il caffè delle Lazzarelle vince la prima edizione del Festival Nazionale dell’Economia Civile. Ideato da Federcasse e organizzato assieme a NeXt e Sec-Scuola di Economia Civile. Che si è svolto a Firenze nei giorni scorsi e ha premiato le 10 aziende che hanno raggiunto l’eccellenza mettendo in atto strategie produttive ispirate al bene comune, dichiarandole ambasciatrici di sostenibilità.
Sul podio, prime tra queste, sono arrivate le Lazzarelle di Pozzuoli
Come spiega Laura Cocozza sulla Gazzetta del Mezzogiorno, si tratta di un’impresa sociale in cui lavorano con impegno le detenute della casa circondariale femminile di Pozzuoli; una delle cinque in Italia riservate esclusivamente alle donne e, tra queste, una delle più grandi per dimensioni.
L’avventura è iniziata nel 2010 da un’intuizione di Imma Carpiniello
Con laurea in scienze politiche e master in Diritti umani, successiva formazione e studi di genere, diventata poi presidente della coop.
«Entrando in carcere per motivi di studio – racconta Carpiniello alla Gazzetta del Mezzogiorno mi sono resa conto che ciò che mancava era soprattutto la possibilità per le detenute di fare un lavoro qualificante. Esistevano solo corsi molto stereotipati. Come il ricamo o l’uncinetto.
E soprattutto non veniva offerto loro nessun modo per guadagnare. Un aspetto della detenzione femminile totalmente sottovalutato è, infatti, che l’Amministrazione non fornisce tutto ciò di cui una donna ha bisogno. E dunque le detenute si sentono anche un peso per la famiglia, che comunque deve dar loro un contributo economico».
Il progetto
Così parte il progetto della torrefazione, che vede coinvolte le detenute già nella progettazione, nell’ideazione del logo e del nome. «Abbiamo ottenuto in affidamento un magazzino in disuso. – Così spiega la presidente. – che abbiamo poi ristrutturato e allestito con le macchine che servono per svolgere l’intero ciclo produttivo all’interno del carcere. Quindi dalla tostatura del caffè, che acquistiamo in grani dalla cooperativa Shadilly. La quale promuove progetti di cooperazione con i piccoli produttori, fino all’impacchettamento».
Tutte le detenute che vi lavorano sono regolarmente contrattualizzate
Imparano un mestiere e, soprattutto, acquisiscono coscienza dei diritti e delle potenzialità. Che nulla come il lavoro offra dignità e possibilità di riscatto reale. Lo dimostrano le statistiche presenti nel Rapporto che ogni anno è stilato dall’associazione Antigone sulle condizioni delle carceri italiane. Secondo le quali la percentuale di detenuti che cominciano a lavorare durante la reclusione e che all’uscita non ricadono in azioni criminali, è del 90%. E lo conferma il fatto che, delle 60 donne che sono state coinvolte dall’inizio del progetto ad oggi, 54 non sono più tornate in carcere.
«Ci siamo rese conto – continua Carpiniello – che la maggior parte delle detenute presenti ha commesso piccoli reati, molto spesso per necessità. Probabilmente, se ci fossero stati strumenti di welfare adeguati, non sarebbero finite in carcere. In questo senso, il nostro intervento non è meramente riparativo ma ricostruttivo. Perché innesca un processo di empowerment e di inclusione sociale. Cominciare a lavorare con noi – conclude – dà loro la possibilità di rafforzare le proprie competenze e la consapevolezza di essere in grado di fare alcune cose che non sapevano di poter fare».
Per quanto riguarda la commercializzazione del prodotto, i principali canali di vendite sono gruppi di acquisto e piccole botteghe di commercio equo o di vicinato.
Una produzione di 40mila pacchetti all’anno
«Il nostro è un prodotto artigianale, con una produzione di circa 40mila pacchetti di caffè l’anno. La miscela è ottenuta miscelando arabica e robusta. Secondo la tecnica tradizionale degli artigiani napoletani che ci è stata insegnata da un maestro torrefattore. Ultimamente abbiamo anche affiancato a quella del caffè una piccola produzione di tè, tisane ed infusi, sempre provenienti da piccoli produttori».
Il caffè delle Lazzarelle, oltre ad essere buono, è anche sostenibile:
«Gli involucri dei pacchetti sono in plastica alimentare e quindi sono riciclabili. Ma ora stiamo facendo un ulteriore passo in avanti: grazie alla collaborazione con gli studenti del corso di Economia circolare del dipartimento di Ingegneria dell’Università Vanvitelli di Napoli stiamo cercando di creare una bioplastica dagli scarti della nostra produzione che sia biodegradabile ma allo stesso tempo mantenga la fragranza del caffè intatta».
Laura Cocozza