domenica 22 Dicembre 2024
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L’esplosione dei costi delle materie prime arriva al bar: in Veneto la tazzina raggiunge 1 euro

Il conte Giorgio Caballini di Sassoferrato, presidente del Gruppo triveneto torrefattori di caffè e amministratore della Dersut Caffè Spa di Conegliano Veneto: "Dall’esame dei bilanci 2009 delle prime 400 aziende italiane (su 703, per 7mila addetti, 3 miliardi di euro di produzione di cui 600 destinati all’estero) risulta che, senza adeguati provvedimenti, il 90% delle ditte chiuderà il 2011 in perdita. Variazioni dei listini sono inevitabili, ed è opportuno che i clienti (bar, caffè, ristoranti) provvedano al rincaro"

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MILANO – Dieci centesimi in più. “In Veneto, da 90 centesimi a un euro: una tazzina al costo di un quotidiano”. Perché, secondo il conte Giorgio Caballini di Sassoferrato, presidente del “Gruppo triveneto torrefattori di caffè” (270 soci) e amministratore della Dersut Caffè Spa di Conegliano Veneto (Treviso, 14 milioni di fatturato, 3% del prodotto destinato all’estero e 30 dipendenti): “La situazione delle 49 torrefazioni venete è in linea con quella generale.”

L’aumento dei costi del caffè in Veneto

Caballini continua: “Dall’esame dei bilanci 2009 delle prime 400 aziende italiane (su 703, per 7mila addetti, 3 miliardi di euro di produzione di cui 600 destinati all’estero) risulta che, senza adeguati provvedimenti, il 90% delle ditte chiuderà il 2011 in perdita. Variazioni dei listini sono inevitabili, ed è opportuno che i clienti (bar, caffè, ristoranti) provvedano al rincaro”.

Tutta colpa del mercato speculativo

“Il 19 febbraio dell’anno scorso – continua il presidente Caballini – a New York (Csce, Coffe, sugar and cocoa Exchange, divisione indipendente del Nybot, New York board of trade) una libbra (453,6 grammi) di caffè era quotata 134 centesimi di dollaro; il 28 giugno 166; il 19 novembre 209; e ora il prezzo ha superato la soglia dei 230. Insomma, considerato il cambio euro-dollaro, una partita di 320 sacchi (60 kg ad unità) di Santos, a New York sarebbe costata 42.323 euro il 19 febbraio, 56.951 il 28 giugno e 64.871 il 19 novembre 2010.”

“Da sei mesi, cioè, è in atto un movimento speculativo inarrestabile; la tensione sul caffè non scende, con prezzi vicini ai record di 13 anni fa. Anche perché dipendono, in larga parte, da future e option, scommesse che passano sopra la testa dei torrefattori”. Una situazione critica, secondo Caballini.

Un maggior costo in sei mesi – puntualizza – di 23.027 euro per una partita di Santos e cioè di 1,2 euro al chilo sul caffè crudo e di 1,5 sul tostato. Per una partita di 320 sacchi di Robusta, considerato lo stesso periodo, la differenza è pari a 8.705 euro, quindi a 0,55 euro al chilo sul tostato”.

Settore, costi e clientela

“Un’azienda media – continua Caballini – che tratti 5mila sacchi di crudo all’anno, per due terzi Arabica e per un terzo Robusta, ha subito da febbraio 278mila euro di maggiori costi. Da qualche parte vanno ammortizzati. E bar e caffè non se la passano meglio: anche perché la tazzina di espresso, che negli anni scorsi in Veneto costava quanto un quotidiano, ora è ferma a 90 centesimi.”

Caballini continua: “Per fare due conti, un bar medio, due dipendenti e 210mila euro di incasso annuo (circa 700 al giorno), deve fare i conti con 60mila euro di costi fissi per il personale, 24mila per l’affitto, 9mila per l’energia, 5mila tra altre utenze, rifiuti e riscaldamento, 3mila per la contabilità e 5mila per le manutenzioni. Con un costo-merci di 73.500, ne restano 30.500 di margine lordo; un netto di 1.150 euro al mese, lo stipendio di un dipendente per uno o più titolari. Insomma, nuove spese finiranno per rimbalzare sull’avventore”.

Inevitabile, anche per il vicepresidente Vincenzo Sandalj. “D’altra parte – afferma Sandalj – grazie alla concorrenza spietata tra torrefazioni venete e all’inflazione di bar (11mila in Veneto, su 157mila in Italia; fonte Fipe, federazione italiana pubblici esercizi) il prezzo al consumo della tazzina è fra i più bassi d’Europa; ma se non copre le spese di gestione, il barista dovrà adeguarsi”.

La colpa non è solo dei mercati

“I fondi di investimento – commenta Sandalj -, ora long su contratti di settore, enfatizzano squilibri tra domanda e offerta di materie prime; si pensi alla débâcle degli Arabica lavati colombiani, dovuta ad avverse condizioni climatiche, e al calo produttivo in certi paesi centroamericani. Alla fine, si salvano aziende di nicchia, e in Veneto non mancano; i grandi esportatori, perché l’estero ha un potenziale enorme; e chi produce porzionato, cialde e capsule: un mercato che cresce del 20% all’anno”.

Ma c’è chi ha qualche dubbio sugli aumenti. “E’ l’intera filiera – chiosa Federico Pellini, ammistratore delegato di Pellini Caffè Spa di Bussolengo (Verona), 51 milioni di fatturato, 160 occupati, 7% la quota estero – dal produttore al consumatore, che deve accollarsi oneri straordinari, perché si mantengano elevati standard qualitativi. Ma con la crisi e il calo dei consumi, sarà difficile maggiorare i listini”.

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